In Israele è nota per essere una delle maggiori esperte di cristianesimo, oltre che molto attiva nel dialogo interreligioso tra ebrei, cristiani e musulmani. Yisca Harani, di religione ebraica, da oltre trent’anni lavora instancabilmente per creare ponti e occasioni di incontro tra persone di religioni diverse. Per la sua comprovata esperienza nella divulgazione della conoscenza del mondo cristiano tra gli israeliani, il ministero degli Esteri d’Israele le ha commissionato da poco un compendio destinato ai diplomatici per una formazione di base sul tema.
Docente universitaria, ricercatrice, consulente, l’impegno di Yisca Harani, originaria di Gerusalemme ma residente a Tel Aviv, spazia su diversi versanti: da corsi universitari a progetti per le scuole, da tour alla scoperta dei luoghi cristiani a seminari online. Per il suo impegno nel dialogo interreligioso, nel 2013 ha anche vinto il Premio Monte Sion, insieme con Margaret Karram, oggi presidente del Movimento dei Focolari.
«Sono cresciuta con una fortuna: prima di vedere il conflitto e l’ostilità, ho visto il bene»
«Quand’ero studentessa, già sapevo che non avrei voluto lavorare in una sola università – spiega Yisca a Terrasanta.net –. Volevo muovermi da un posto all’altro e creare opportunità di incontro non solo per studenti, ma anche per normali cittadini». Come dice lei stessa, l’obiettivo del suo impegno non è mai stato studiare un’altra religione per «combatterla», un approccio imparato sin da bambina dai genitori, accademici israeliani che conoscevano molti cristiani. «Sono cresciuta con una fortuna – ammette –: prima di vedere il conflitto e l’ostilità, ho visto il bene. I miei genitori erano religiosi, ma avevano una visione chiara della dignità di ogni essere umano. Per questo mi interessano tutte le religioni dei miei vicini, che siano musulmani, drusi o altro. Considero, però, la religione cristiana più simile alla mia e più piena di contraddizioni, in senso positivo, in riferimento alle sfide (con cui si misura)».
«Non volevamo solo vedere belle chiese, ma anche parlare con i sacerdoti cristiani»
L’operato di Yisca Harani comincia nella società di protezione della natura: «Ho iniziato a organizzare tour per scoprire ambienti naturali e visitare musei, ma poi ho pensato che le persone interessate ai miei tour avrebbero potuto esplorare non solo la natura, ma anche l’umanità. La cosa entusiasmante era che non volevamo solo vedere belle chiese, ma anche parlare con i sacerdoti cristiani». Per un reale contatto con il mondo cristiano Yisca non si accontenta soltanto di far conoscere luoghi, chiese e santuari, ma soprattutto cerca l’incontro con le persone. Preti, suore, fedeli laici: ognuno, nel contesto di un dialogo sincero e semplice, può comunicare in modo autentico la sua realtà di vita.
Il passo successivo è stato trasmettere alle guide turistiche israeliane questa visione, con corsi di formazione specifici. «Volevo fare qualcosa che potesse moltiplicarsi nel tempo e nelle iniziative dei singoli», spiega la studiosa.
È sempre dall’incontro che nasce il cambiamento e la stessa Yisca Harani ha chiari due episodi che hanno inciso profondamente sul suo percorso. Il primo risale a quando aveva da poco iniziato ad essere attiva nel dialogo interreligioso e si era recata in un villaggio musulmano, per organizzare un tour in una moschea con uno sheikh. «Lo incontrai in una caffetteria e, quando finimmo di parlare, andai di corsa a pagare il caffè, perché pensavo che sarebbe stato un bel gesto, visto che ero stata io ad invitarlo – racconta Yisca -. Quando tornai a sedermi mi disse: “La prima cosa che devi imparare, se vuoi fare attività interculturali, è conoscere la cultura degli altri”». L’uomo aveva infatti avvertito come un’offesa il gesto, perché trovandosi nel suo villaggio spettava a lui accogliere lei e offrirle da bere.
«Solo grazie all’incontro è possibile superare gli stereotipi»
«Questa – riconosce Yisca – fu la prima lezione e dopo quarant’anni ancora me la ricordo, perché non si trattò di una lezione accademica, ma sul campo. Come quella che molti anni dopo ricevetti a Haifa, dove ero andata a trovare le suore carmelitane della scuola italiana». Lì la docente aveva organizzato un incontro con dei ragazzi in cui le suore potessero parlare apertamente della loro scelta di vita e della loro vocazione. «A un tratto uno studente fece una domanda impertinente: sosteneva di aver visto la suora in una discoteca di Eilat. La suora, senza scomporsi, disse che sì, era lì perché si trovava ad accompagnare un gruppo di ragazzi delle scuole superiori che avevano espresso il desiderio di andare a ballare. Dunque li aveva accompagnati in discoteca». La risposta che aveva sorpreso Yisca, ma le aveva fatto anche comprendere quanto ancora una volta, solo grazie all’incontro, fosse possibile rompere gli stereotipi.
Dal 1999 in poi Yisca ha lavorato anche per rompere altri tipi di barriere culturali e religiose: quelle tra i bambini delle scuole palestinesi di Gerusalemme Est e i loro coetanei delle scuole israeliane di Tel Aviv. «Sono madre di tre figli e quindi ho iniziato a creare opportunità nelle classi dei miei figli a Tel Aviv. Poi il progetto si è esteso ad altre classi e scuole. Volevo che i bambini iniziassero a scriversi e che poi si incontrassero. I ragazzi delle scuole arabe di Gerusalemme Est non parlano ebraico e i bambini israeliani delle scuole di Tel Aviv non parlano arabo. Come lingua comune ricorremmo all’inglese. L’idea era quella di creare una comunicazione, un ponte». I bambini dovevano mandarsi brevi messaggi per raccontare di loro fino ad arrivare al momento più importante: quello dell’incontro personale. «Li abbiamo fatti incontrare tra Gerusalemme Est e Tel Aviv e alcuni hanno mangiato a casa dei bambini amici di penna», racconta Yisca. Per una famiglia di Tel Aviv è molto difficile mandare il proprio figlio nella città vecchia di Gerusalemme, perché è percepita come un luogo pericoloso. La diffidenza è ricambiata. «Un progetto del genere è molto fragile e richiede il coraggio e il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti coinvolti», spiega Yisca.
Questa esperienza maturata con i più piccoli è stata importante anche per attività successive, come Light for all («Luce per tutti»). L’iniziativa, avviata nel 2013, punta a riunire ebrei e non ebrei per accendere insieme le candele della festa ebraica di Hanukkah (che generalmente precede di poco il Natale dei cristiani d’Occidente – ndr), con l’obiettivo di creare una conversazione sul tema. «Lo scorso anno ho invitato a casa mia un monaco cristiano che vive a Gerusalemme da vent’anni, ma che non era mai entrato in una casa di ebrei – racconta Yisca –. Credo dunque che sia importante creare opportunità, connessioni, anche sulla base linguistica, per far incontrare le persone. Alcuni, dopo tanti anni, rimangono ancora in contatto».
«Natale è la festa cristiana più conosciuta nel mondo ebraico e molti vogliono saperne di più»
Grazie alla tecnologia, anche agli ebrei lo scorso anno è stato possibile assistere a una delle più importanti celebrazioni cristiane in Terra Santa: la messa di mezzanotte di Natale 2020, trasmessa via Internet da Betlemme il 24 dicembre. Con i dovuti permessi e il patrocinio del Museo della Torre di Davide, Yisca Harani ha promosso un evento online durante il quale ha commentato e spiegato in diretta le varie fasi dell’intero rito: «Natale è la festa cristiana più conosciuta nel mondo ebraico e molti vogliono saperne di più. Ho spiegato ogni singolo momento alle migliaia di persone che erano connesse e sono rimaste coinvolte positivamente». Molti ebrei religiosi non metterebbero mai piede in una chiesa, ma sono entrati virtualmente nella chiesa francescana di santa Caterina e nella vicina grotta della Natività.
Dopo anni di divulgazione sul cristianesimo, è stato il primo evento del genere dedicato al Natale, e ha riscosso grande successo. Per andare avanti su questa strada Yisca Harani conosce la chiave: «Penso che nel dialogo interreligioso sia importante parlare non solo dei comuni denominatori. La parte più significativa è proprio ammettere, affrontare ed accettare le differenze».