È sconcertante la totale incapacità del club Europa, di produrre delle politiche sull’immigrazione che vadano al di là di una «svogliata» gestione dell’emergenza.
A fine giugno, in un cordialissimo bilaterale, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il primo ministro italiano Mario Draghi avevano auspicato il rinnovo dell’accordo dell’Unione Europea con la Turchia, sulla gestione di parte dell’immigrazione verso l’Europa. In sostanza, si tratta di un sostegno «strategico» del valore complessivo di 5,7 miliardi di euro per i profughi e le comunità che li ospitano in Turchia, Giordania, Libano e Siria. Alla Turchia sarebbe destinato il fondo più cospicuo, 3 miliardi, che si aggiungono ai 535 milioni del finanziamento ponte per garantire una continuità con i progetti umanitari già avviati.
È davvero sconcertante la totale incapacità del club Europa, di produrre delle politiche sull’immigrazione che vadano al di là di una «svogliata» gestione dell’emergenza. Quest’ultima, tra l’altro, è puntualmente sbandierata a fini di propaganda populista ma, alla resa dei conti, le si dedicano pochi minuti nei «grandi» vertici europei. Del resto, l’Ue non sta sopportando flussi ingenti e incontrollabili di richiedenti asilo: nel 2020 le richieste sono calate del 35 per cento rispetto all’anno precedente. Questo non elimina la drammaticità di quanto stanno vivendo migliaia di persone, e non può cancellare il prezzo, sempre tremendamente alto, in termini di vite umane, considerate alla stregua di «danni collaterali» dalle cancellerie occidentali che pretendono di insegnare la democrazia al mondo!
Il solo scopo di quella che è definita «esternalizzazione del controllo delle frontiere», e cioè azioni economiche, giuridiche e militari realizzate da soggetti statali e sovrastatali (come la Ue), nei territori di Paesi terzi, è quello di impedire o, per lo meno di ostacolare, l’ingresso di migranti o richiedenti asilo nel territorio degli Stati che sostengono dette azioni. In sostanza, si rinuncia a «governare il fenomeno» (quello che dovrebbe essere il proprium della politica), accontentandosi di limitarne le conseguenze considerate, almeno elettoralmente, sgradevoli. Tra l’altro, l’Italia, causa la sua vicinanza geografica al Sud del Mediterraneo, gioca spesso il ruolo della «povera vittima»! Ma anche in questo caso, i dati dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur/Unhcr) dicono che, in termini di distribuzione effettiva (il passaggio è altra cosa), a fine 2019 il nostro Paese accoglieva 3,4 tra rifugiati e richiedenti asilo ogni mille abitanti, contro circa 25 della Svezia, 18 di Malta, 15 dell’Austria, 14 della Germania, 6 di Danimarca, Grecia e Francia.
Viste dal Sud dell’ex Mare nostrum, queste «non-politiche europee» paiono particolarmente imbarazzanti, oltre che drammatiche nelle conseguenze. Come si giustifica il fatto di appaltare la totale gestione della questione migratoria, che è prima di tutto una questione umanitaria, a Paesi di cui si contesta il livello di democraticità, il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali? «Dobbiamo aprire a una prospettiva futura» diceva la Merkel. All’atto pratico, non è certamente tale, per esempio, per i migranti introdotti clandestinamente in Turchia dai trafficanti di esseri umani, nei distretti nord orientali di Çaldıran, Özalp, Saray e Başkale. Decine di loro, provenienti da Afghanistan, Pakistan e Iran, sono abbandonati in stalle vuote senza cibo né acqua prima di essere traghettati attraverso il lago Van a Tatvan. Fino a quando si potrà continuare a tacere? Fin quando fingere di non sapere chi e che cosa viene pagato per la tranquillità falsa e senza coscienza d’Europa?