A giudizio unanime, l’ultimo scontro armato con Israele ha fatto crescere tra i palestinesi i consensi per Hamas. Ma a guardar meglio, dopo l’ennesimo giro di giostra non è cambiato nulla. Hamas e Fatah si neutralizzano a vicenda.
Per giudizio unanime, l’ultimo scontro armato con Israele ha fatto crescere tra i palestinesi i consensi per Hamas. Proprio grazie alla volontà e alla capacità di resistere a lungo alla superiore potenza militare dello Stato ebraico, il movimento con base a Gaza, e la galassia di formazioni militari che lo accompagnano, è riuscito come forse mai prima a mobilitare molti palestinesi anche a Gerusalemme, in Cisgiordania, nelle zone di frontiera del Libano e della Giordania. E mentre tutto questo succedeva, il partito Fatah e il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) sembravano ridotti al ruolo di meri spettatori.
Poi, però, la guerra è finita. E com’è sempre successo in questi decenni, la “vittoria” di Hamas si è rivelata del tutto inutile sul piano pratico. I successivi colloqui del Cairo sono stati, prevedibilmente, un buco nell’acqua. Hamas voleva discutere di una nuova data delle elezioni politiche (rinviate in aprile da Abu Mazen, che in realtà nega il voto ai palestinesi da quindici anni) e dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), in cui appunto Hamas non è rappresentato. Fatah, la cui delegazione era guidata da Jibril Rajoub, segretario del comitato centrale, aveva un solo tema in agenda: la formazione di un governo di «unità nazionale», ipotesi osteggiata da Hamas fin da quando fu avanzata da Abu Mazen nei giorni del conflitto.
Nessun accordo era quindi possibile e infatti nessun accordo è stato raggiunto. Con un particolare: contro Hamas, e a favore del simulacro di potere di Fatah, la politica internazionale ha prontamente organizzato una specie di cordone sanitario teso ad annullare i presunti successi e, soprattutto, sterilizzare l’influenza su Gaza di Turchia e Qatar. Un pacchetto di 30 milioni di euro per la ricostruzione di Gaza è stato affidato all’Autorità Palestinese (ovvero, Abu Mazen e i suoi) e l’Egitto, con l’approvazione di Stati Uniti e Israele, è tornato in piena attività come mediatore tra le fazioni palestinesi. E su Gaza pende la spada di un taglio (o almeno un rallentamento) degli aiuti internazionali che tengono in vita la Striscia.
Insomma: alla fine dell’ennesimo giro di giostra non è cambiato nulla. Hamas e Fatah si neutralizzano a vicenda. I Paesi che hanno interessi strategici nell’area osteggiano Hamas e sostengono Fatah pur sapendo quanto fragile, in certi casi fittizio, sia il suo potere. E per i palestinesi, qualunque sia il loro orientamento politico, la vita si fa sempre più dura.