Le notizie che arrivano dall’Afghanistan, in questi giorni centrali di agosto, non lasciano per nulla tranquilli. Oltre e al di là della questione bellica interna, con la conquista lampo (e in alcuni casi senza combattimenti) da parte dei talebani di larga parte del Paese, preoccupano le ripercussioni geopolitiche sul Medio Oriente. Delle «mire turche» ha ben parlato Elisa Pinna nel suo blog Persepolis: Erdogan, con la benedizione statunitense, si sta preparando a giocare una pericolosa partita ancora una volta nel segno del neo-ottomanesimo. Le ripercussioni sul vicino Iran, da dove transitano moltissimi profughi in fuga dal Paese (300 mila solo negli ultimi otto mesi), sono ancora tutte da capire.
E mentre Herat, Lashkar Gah e Kandahar, tre capoluoghi chiave delle province meridionali e occidentali, sono ormai nelle mani dei talebani, il vuoto creato dal ritiro delle truppe occidentali, annunciato da Joe Biden a metà aprile e ormai in atto, ha risvegliato mire e preoccupazioni anche di Cina e Russia.
Visti da Pechino e Mosca
Pechino cerca una sponda tra i talebani per scongiurare la possibilità che l’Afghanistan diventi la base logistica per i separatisti e i jihadisti uiguri, ma allo stesso tempo la Cina, detenendo la maggior parte dei diritti estrattivi dal ricchissimo sottosuolo afghano, ha tutto l’interesse ad avere ottime relazioni con i nuovi patroni di Kabul.
Mosca, invece, che quando si parla di Afghanistan vede i fantasmi del passato, teme per il vicino Tagikistan e il rischio di infiltrazioni jihadiste per le repubbliche ex-sovietiche confinanti. A inizio luglio una delegazione talebana è stata ricevuta al Cremlino, dove ha sottolineato che gli studenti coranici non intendono minacciare la Russia e i suoi alleati.
Ma quello che sta capitando non si capisce fino in fondo se non si riavvolge il nastro e non si fissa una data: il 29 febbraio 2020, quando l’allora segretario di Stato Usa, Mike Pompeo e il numero due dei talebani, il mullah Abdul Ghani Baradar, siglarono a Doha un accordo bilaterale, con il quale di fatto si legittimavano politicamente gli studenti islamici e indeboliva – escludendolo dai negoziati – il governo (già fragile) dell’attuale presidente Ashraf Ghani.
In sostanza l’accordo ha sancito la fine delle ostilità tra Usa e talebani nel Paese, di fatto – tacitamente – concordando un via libera a questi ultimi una volta che si fosse completato il ritiro Usa. Non dimentichiamolo: negli Stati Uniti si era in piena corsa per la presidenza, e l’America First di Trump esigeva un roboante argomento di propaganda.
L’imbarazzo di Washington
La nuova amministrazione Usa, di fronte al disastro che si sta profilando, è in grave difficoltà. Il nuovo segretario di Stato, Antony Blinken, ha dichiarato tempo fa che l’accordo di Doha con gli studenti coranici è in corso di revisione. Secondo fonti d’intelligence, ci sarebbe una parte secretata, che prevede per i talebani atti concreti su tre dossier: la rottura con al-Qaeda, la riduzione della violenza sul campo e un impegno nel negoziato tra fazioni ed etnie afghane (ricordiamo che il Paese è un vero e proprio mosaico di popoli e culture). Come questi dossier debbano essere sviluppati, quali tappe, quali verifiche, non è dato sapere.
Intanto, sul campo, si registra il caos. E le opzioni che erano possibili fino a poco tempo fa (tra cui quella di sospendere il ritiro delle forze americane e occidentali) sono ormai tramontate. Dagli Usa, dalla Gran Bretagna e dal Canada stanno arrivando truppe, ma solo per aiutare l’evacuazione delle ambasciate e il rimpatrio dei cittadini stranieri. E mentre i talebani espandono il loro controllo su tutto il territorio, si profila una nuova emergenza umanitaria, con decine di migliaia di persone pronte a scappare e a lasciare il Paese. Prevedibilmente molte di loro raggiungeranno, presto o tardi, i confini dell’Europa.
L’Onu studia le carte
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – secondo quanto riferito oggi dal Washington Post – sta discutendo una bozza di dichiarazione che condannerebbe gli attacchi dei talebani a città e paesi che causano moltissime vittime civili. Verrebbero previste inoltre sanzioni per abusi e atti che mettono a rischio la pace e la stabilità dell’Afghanistan.
Quello che si profila all’orizzonte, secondo una valutazione dell’intelligence americana, è il crollo di Kabul, sede del governo centrale e dell’aeroporto internazionale, nel giro di un mese, al massimo due.