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Una nuova cultura politica per i giovani palestinesi

Qassam Muaddi
10 giugno 2021
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Una nuova cultura politica per i giovani palestinesi
Giovani palestinesi manifestano con la loro bandiera alla Porta di Damasco, a Gerusalemme, il 25 aprile 2021 (foto Noam Revkin Fenton/Flash90)

Sono nati dopo gli accordi di Oslo (1993) e non se ne sentono vincolati. I giovani palestinesi condividono con i più anziani il desiderio di libertà, dignità e riconoscimento. Ma vogliono una scena politica nuova.


È un segno distintivo della società palestinese: ad ogni nuova ondata di scontri con Israele, negli ultimi anni, sono soprattutto i più giovani a mobilitarsi. Gli eventi del mese scorso non fanno eccezione. Davanti ai posti di blocco israeliani in Cisgiordania, la maggior parte dei manifestanti e di coloro che guidavano le marce erano palestinesi, di entrambi i sessi, d’età compresa tra i 18 e i 25 anni.

D’altronde, in Palestina di giovani non c’è carenza. Secondo l’Ufficio di statistica palestinese, tra il 40 e il 50 per cento dei palestinesi in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza ha meno di 25 anni. Secondo lo stesso ufficio, il 45 per cento dei giovani è disoccupato e privo di qualunque protezione sociale, mentre il 15 per cento ha una famiglia a carico. È una generazione cresciuta in un contesto politico e sociale di esclusione, capace di grande mobilitazione ma priva di una chiara direzione politica, desiderosa di un cambiamento che resta in gran parte da scoprire e costruire.

L’occasione persa delle elezioni

Dopo la convocazione delle elezioni da parte del presidente palestinese Mahmoud Abbas alla fine dello scorso anno, si sono formate diverse liste di giovani. Una si chiama Tafah al kail, che in arabo significa «Ne abbiamo abbastanza». La lista è riuscita a riunire movimenti sociali come quello dei disabili e quello dei dipendenti pubblici in cassa integrazione. Il portavoce della lista, Jihad Abdo, ha dichiarato in un’intervista al sito web palestinese Ultra Palestine che «la Palestina sta attualmente assistendo all’emergere di un nuovo ordine sociale. I partiti e le élite stanno da una parte e noi dall’altra».

Un’altra lista intitolata «La generazione del cambiamento democratico» si è fatta avanti come movimento alternativo all’intero sistema politico. La lista ha deciso di condurre una campagna di protesta simbolica, senza presentarsi alle elezioni. Tuttavia, l’annullamento delle elezioni ha ritardato la possibilità di espressione politica dei giovani. Gli scontri con l’occupazione israeliana hanno in un certo senso fornito a questa generazione un’alternativa per mobilitarsi sul campo.

Mahmoud Khawaja, giornalista palestinese indipendente di 28 anni con sede a Ramallah, osserva che «questi giovani hanno portato alla ribalta una nuova percezione della resistenza e una nuova forma di espressione della causa palestinese. Non si parla più di “due Stati” o di “conflitto internazionale”, ma piuttosto di “colonialismo degli insediamenti” e di diritti umani». E tuttavia, l’aspetto più importante di questa nuova coscienza, secondo Khawaja, «è il senso di unità inter-palestinese». Un senso di unità rafforzato dalle proteste degli arabi in Israele, che si sono rapidamente trasformate in rivolta violenta della popolazione araba.

Oltre i partiti e i confini

«Questo senso di unità che travalica i confini ha conseguenze politiche», afferma Yahya Abul Rob, 29 anni, ricercatore presso il Centro Bissan di studi sociali a Ramallah. Secondo lui, «quando i giovani si mobilitano ovunque in quanto palestinesi, i leader politici e i loro discorsi, ingabbiati dai confini, perdono rilevanza». Il giovane studioso rimarca che «l’Autorità palestinese è praticamente scomparsa dalla scena per quasi tre settimane, come se non esistesse, insieme ai parlamentari arabi della Knesset. Quanto è successo li ha superati».

«Vogliono tutti averci dalla loro parte», dice dei partiti palestinesi Nassim Harfouche, uno studente liceale 19enne di Kharbatha Al Misbah, un villaggio a nord di Ramallah. Nassim partecipa alle manifestazioni dall’inizio di maggio e al momento dell’intervista era stato appena rilasciato (dopo un fermo) dall’esercito israeliano. Per lui «i partiti cercano sempre di portare il movimento giovanile nella loro sfera di influenza. Quando ci mobilitiamo esultano, ma noi non ci fidiamo più di loro». Nassim insiste che «benché Hamas abbia guadagnato popolarità, essendo la più grande fazione nella coalizione che fa i conti con l’occupazione a Gaza, non siamo ingenui. Il sostegno alla resistenza è una cosa e lo schieramento di parte è un’altra». «Molti giovani – ammette il liceale – restano fedeli ai partiti in cui si sono formati politicamente, ma questa nuova coscienza è reale, e sta crescendo».

Alla ricerca di una nuova cultura politica

Yahya Abul Rob insiste che «al di là delle posizioni ben formulate di alcuni giovani, c’è un sentimento, un desiderio di una nuova cultura politica unita, e più larga dei partiti e dei confini imposti dal conflitto». Yahya fa l’esempio dell’espressione artistica, che «è chiaramente cambiata. Nelle precedenti intifada, i canti che accompagnavano le mobilitazioni erano o quelli dei partiti o altri carichi di espressioni ideologiche. Questa volta sono stati i rapper dei quartieri di Gerusalemme a contrassegnare le mobilitazioni con parole di sfida, orgoglio e identificazione sociale». Yahya si riferisce alla canzone Inn Anna di due giovani rapper, Chabjedid e Dabbour, che è diventata la canzone della rivolta, da Ramallah a Lod. Anche i combattenti di Gaza, dopo il cessate il fuoco, hanno marciato con cartelli con i versi della canzone hip-hop accanto ai fucili.

In un certo senso, i giovani palestinesi cercano di riappropriarsi della politica, superando i vincoli dei periodi passati. «È come se stesse emergendo una nuova Palestina», dice Mahmoud Khawaja. «Una nuova Palestina che sta ancora cercando di definirsi, ma è evidente che dovrà farlo nella cornice di una causa irrisolta, che, a sua volta, è l’eredità trasmessa dalle generazioni precedenti».

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