Questo giovedì 1 luglio papa Francesco accoglie in Vaticano dieci rappresentanti delle Chiese libanesi per una giornata di riflessione sul Libano. Questa giornata è stata programmata dal pontefice su iniziativa del catholicos della Chiesa apostolica armena, Aram I. Consapevole della gravissima situazione che sta attraversando il Paese dei Cedri dall’autunno del 2019, Aram I è riuscito a unire cattolici, ortodossi e protestanti per chiedere a Francesco di essere accolto nella città papale. Una cosa non facile in Libano, dove l’ecumenismo ha ancora qualche progresso da fare.
Il Libano, priorità per il Vaticano
Senza esitazione, papa Francesco ha fissato la data. Ciò dimostra il grande interesse che il Vaticano ha per questo piccolo Paese di soli diecimila chilometri quadrati. Un Paese attualmente segnato da tutti i flagelli: assenza di un governo da quasi un anno, profonda svalutazione della moneta, disoccupazione crescente, inflazione record, un’esplosione devastante nel centro di Beirut lo scorso agosto… Un libanese su due vive oggi sotto la soglia di povertà e il Paese è sull’orlo di una crisi peggiore dei 15 anni di guerra civile che ha vissuto tra il 1975 e il 1990.
Si potrebbe essere sorpresi da questo interesse mostrato dalla Santa Sede, ma il Libano rimane una delle priorità della politica estera del Vaticano. Giovanni Paolo II nel 1997 e Benedetto XVI nel 2012 avevano già visitato il Libano. Anche il loro successore ha programmato un viaggio imminente, consapevole che la comunità cristiana libanese gioca un ruolo decisivo nel futuro del cristianesimo in Terra Santa.
Chiese cristiane a rischio di scomparsa
«È l’unica nazione araba dove i cristiani hanno ancora la libertà di farsi sentire», ha detto Fuad Abu Nader, nipote di Pierre Gemayel, fondatore del partito cristiano Kataeb. Infatti, se i cristiani libanesi scomparissero, le Chiese del Medio Oriente sarebbero finite, ridotte a minoranze silenziose in una terra dove Gesù è venuto a predicare, anche nelle città del sud del Libano.
Lo scorso 8 giugno i leader religiosi libanesi si sono riuniti presso il Patriarcato maronita di Bkerké, a nord di Beirut, per preparare questo incontro papale, mettendo sul tavolo tutti i problemi che affliggono il Paese. Mons. Mounir Khairallah, vescovo maronita di Batrun e vicino al patriarca Bechara Raï, spiega che gli scambi si sono concentrati su diversi punti: l’emigrazione dei cristiani, un pericolo per la comunità; il ritorno all’esortazione apostolica del 1997, in cui Giovanni Paolo II invitava tutti Libanesi a vivere e lavorare insieme, cristiani e musulmani, abbattendo tutti i muri, e anche combattendo la corruzione, uno dei flagelli endemici del Libano.
Mantenere il confessionalismo al potere
Sul confessionalismo (con l’eccezione di mons. César Essayan, vescovo dei cattolici latini) i leader religiosi – pur riconoscendo i limiti del sistema di ripartizione dei poteri per confessione (presidente cristiano, primo ministro sunnita, presidente dell’assemblea sciita) come il maggiore ostacolo all’unità –, hanno però optato per il suo mantenimento. Il vescovo emerito di Beirut, mons. Paul Matar, come molti religiosi, esprime il timore che in una società civile secolare costruita frettolosamente, le comunità cristiane perdano molto del loro potere.
È stata richiamata ancora la neutralità o il «distanziamento» del Paese, per evitare manipolazioni da parte di potenze straniere: «Qui ogni confessione è sostenuta da un Paese straniero. La guerra civile del 1975 ne è stata un esempio lampante», osserva Elias Ghosn, medico dell’ospedale di Jbeil, nel nord-est del Paese.
Delusione dei musulmani
I leader cristiani hanno dovuto insistere sul fatto che andranno a Roma «non per costituire un fronte cristiano, ma per parlare a nome di tutti i libanesi». Tuttavia, da parte musulmana si è fatta sentire la delusione per non essere stati invitati. Da Roma hanno risposto che questo incontro sarà dedicato solo alle comunità cristiane, ma che successivamente verranno organizzati gruppi islamo-cristiani come nel 1997 e nel 2012, quando il Vaticano invitò i leader musulmani a partecipare alla preparazione dei sinodi.
La teologa musulmana Nayla Tabbara, presidente della fondazione Adyan (religioni), che lavora sulla cittadinanza comune, si augura che i musulmani seguano l’esempio cristiano, preparando anch’essi una riflessione comune con i loro leader sciiti, alauiti, sunniti e drusi, per uscire dalla crisi e preparare il futuro del Libano.
L’indifferenza della popolazione
Nelle strade l’opinione pubblica resta per lo più indifferente all’evento, più preoccupata delle difficoltà quotidiane: pagare la scuola dei figli, trovare il latte per i più piccoli o la benzina per l’auto – per chi ancora la possiede – e ingegnarsi per mettere insieme i tre pasti della giornata.
Questo primo luglio, Francesco, ascoltando le testimonianze dei leader cristiani, coglierà sicuramente l’occasione per preparare il suo futuro viaggio in Libano alla fine del 2021 o inizio 2022, quando il Paese sarà riuscito a formare un governo. (cath.ch/lb/bh)
Per il Libano progetti di pace e non di sventura!
La giornata di riflessione sul Libano, convocata in Vaticano, si è conclusa in serata con un momento di preghiera ecumenica all’altare della Cattedra della basilica di San Pietro, con la partecipazione di un buon numero di religiosi, religiose e laici.
Prima di congedarsi, papa Francesco ha rivolto all’assemblea un discorso nel quale ha fatto riferimento al grido che sale dal «popolo libanese deluso e spossato, bisognoso di certezze, di speranza, di pace».
«Non desistiamo – ha esortato Francesco –, non stanchiamoci di implorare dal Cielo quella pace che gli uomini faticano a costruire in terra. Chiediamola insistentemente per il Medio Oriente e per il Libano. Questo caro Paese, tesoro di civiltà e di spiritualità, che ha irradiato nei secoli saggezza e cultura, che testimonia un’esperienza unica di pacifica convivenza, non può essere lasciato in balia della sorte o di chi persegue senza scrupoli i propri interessi. Perché il Libano è un piccolo-grande Paese, ma è di più: è un messaggio universale di pace e di fratellanza che si leva dal Medio Oriente».
Il discorso è stato scandito da una sorta di ritornello che è anche riferimento per la rotta da seguire: Francesco ricorda che bisogna dedicarsi a «progetti di pace e non di sventura».
«In questi tempi di sventura – sottolinea Bergoglio – vogliamo affermare con tutte le forze che il Libano è, e deve restare, un progetto di pace. La sua vocazione è quella di essere una terra di tolleranza e di pluralismo, un’oasi di fraternità dove religioni e confessioni differenti si incontrano, dove comunità diverse convivono anteponendo il bene comune ai vantaggi particolari».
È perciò essenziale «che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi». Basta – ha detto Francesco – ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! «Basta usare il Libano e il Medio Oriente per interessi e profitti estranei!»
Ai cittadini libanesi il Papa chiede di non scoraggiarsi e non perdersi d’animo; ai dirigenti politici che sappiano trovare «soluzioni urgenti e stabili alla crisi economica, sociale e politica attuale, ricordando che non c’è pace senza giustizia». Per i libanesi della diaspora c’è la richiesta di mettere a servizio della patria le energie e le risorse migliori; alla comunità internazionale si domanda che con «uno sforzo congiunto, siano poste le condizioni affinché il Paese non sprofondi, ma avvii un cammino di ripresa».
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Ultimo aggiornamento: 02/07/2021 10:52