Per decenni, a partire dal 1944, lo studio fotografico Kegham è stato un’istituzione a Gaza. I suoi scatti hanno documentato la realtà della Striscia e le sue sfaccettature. Ora il nipote del fotografo propone un’interessante mostra, già esposta al Cairo.
Gaza come non l’abbiamo mai vista. Cosmopolita, piena di vita, benessere, cultura, volti sorridenti. Così lontana dalle immagini e narrazioni cui siamo tristemente abituati. Gaza che fa letteralmente sgranare gli occhi per come emerge dalle fotografie recuperate e restituite all’attenzione del pubblico per la prima volta nel marzo scorso attraverso una mostra allestita al Cairo nell’ambito di Cairo Photo Week dall’artista e curatore Kegham Djeghalian, nipote del primo e più importante fotografo della Striscia, del quale porta il nome.
Quarant’anni di storia per immagini
Sopravvissuto da bambino al genocidio armeno del 1915 e cresciuto in Siria e Libano, Kegham Djeghalian senior si spostò in Palestina, a Gerusalemme e in seguito a Jaffa. Dopo il matrimonio, si trasferì con la moglie a Gaza City nel 1944, dove nello stesso anno aprì il primo studio fotografico cittadino: Photo Kegham si trovava in via Omar Mokhtar, una delle arterie principali.
«Mio nonno e il suo studio – spiega il nipote – con il tempo divennero una sorta di istituzione. La maggior parte delle famiglie della città andava a farsi ritrarre lì. Per quasi quarant’anni e durante turbolenti periodi di transizione – sotto il mandato britannico, il dominio egiziano e l’occupazione israeliana del 1956 e del 1967 – lo studio documentò anche la realtà della Striscia di Gaza in tutte le sue sfaccettature. Gli scatti ritraggono la città, i matrimoni, i funerali, gli eventi ufficiali, il trasferimento nei campi profughi, la vita nei campi, l’occupazione e molto altro. Mio nonno fece anche da mentore a numerosi giovani fotografi».
Djeghalian morì a Gaza nel 1981, dopo aver scelto di non allontanarsene mai dal 1944.
Un’eredità preziosa
Interessante il percorso che ha portato il trentaseienne Djeghalian – artista visivo, image maker e direttore artistico che oggi vive a Parigi – a lavorare sul prezioso patrimonio familiare. «Sono cresciuto ascoltando storie su mio nonno – racconta – sul suo successo e sulla sua importanza come primo fotografo di Gaza. Ma per la maggior parte della mia vita non avevo mai visto realmente la sua eredità fotografica, a parte le poche foto di famiglia».
Nel 2007 Djeghalian consegue una laurea in arti visive presso l’Università Americana del Cairo, città dove parte della famiglia è fuggita nel 1967, durante la Guerra dei sei giorni. Da lì l’impulso a riscoprire e far rivivere l’eredità del nonno. Tra diverse difficoltà. Innanzitutto, l’impossibilità di recarsi a Gaza, dove è conservato il corpus principale dell’archivio. In secondo luogo, l’inevitabile confronto con molti temi critici, come il genocidio armeno e la diaspora, la storia travagliata della Striscia di Gaza, l’occupazione.
Al 2018 risale la scoperta, da parte di suo padre, di tre piccole scatole di negativi dimenticati in un armadio al Cairo. Il contenuto, una volta digitalizzato, è andato a costituire la mostra citata. Il titolo, non a caso, era Photo Kegham of Gaza: Unboxing (letteralmente «Foto Kegham di Gaza: disimballaggio»). «La mia intenzione – commenta l’artista – era esporre le foto curate così come sono, crude e umane, senza alcuna didascalia o data che desse loro un contesto storico o politico. Ho voluto umanizzare una terra e la sua gente, entrambe così politicizzate e quasi “oggettivizzate”, rese oggetti».
Un recupero collettivo di memoria
Grazie ai social media, diverse persone hanno riconosciuto membri della propria famiglia nelle foto esposte al Cairo, e si sono messe in contatto con Djeghalian per condividere le vicende e i ricordi custoditi dietro a quegli scatti.
«Questo aspetto è stato uno dei “tesori” cui la mostra mi ha dato accesso», riconosce il curatore. «Proprio oggi ho ricevuto un messaggio via Instagram da una designer palestinese in Egitto la cui madre, vedendo quelle foto, ha ricordato la propria infanzia a Gaza. Per me, questa è una parte importante del progetto: raccogliere testimonianze di gazawi – ancora in città o nella diaspora – e parlare di mio nonno e della realtà di allora. Sto cercando di ricostruire un ritratto di nonno Kegham attraverso questi resoconti verbali e ho davvero imparato tanto su di lui dagli aneddoti delle persone… Sono venuto a conoscenza di cose che neppure i suoi figli sapevano. È quasi come se Kegham senior diventasse un palinsesto attraverso il quale possiamo leggere Gaza e la sua ricca ma travagliata storia».
Il lavoro continua
L’esposizione al Cairo ha costituito quindi solo il primo stadio di un progetto più ampio, anche perché l’archivio finora digitalizzato rappresenta solo circa un decimo del patrimonio dello studio Photo Kegham.
In programma ci sono: l’ampliamento e la riproposizione della mostra in altri Paesi del mondo insieme alla pubblicazione di un catalogo; la raccolta di testimonianze e interviste con persone fotografate per dare vita a una sorta di “mappa” della diaspora palestinese da Gaza. Oltre, naturalmente, alla ricerca di un modo per raggiungere l’archivio più grande rimasto a Gaza, al fine di conservarlo e digitalizzarlo.
«Ci vorranno anni di studio e ricerca – conclude Djeghalian – ma ho intenzione anche di lavorare a un libro, una retrospettiva, che raccolga una visione completa dell’eredità di Kegham Djeghalian. Con i recenti terribili eventi, la guerra e il sistematico tentativo di distruggere le terre e l’identità palestinese, la storia di Gaza e la storia di Kegham devono vedere la luce ed essere condivise con il mondo. Ora più che mai. Temo che a Gaza, mentre la città e le vite vanno in pezzi, vadano in pezzi anche la memoria e la storia di questo lembo di terra. Pertanto, faccio appello a istituzioni, piattaforme, università, gallerie e soggetti singoli a collaborare con me, per aiutarmi a realizzare questo lavoro e narrare la vera storia di Gaza e la storia di Kegham».