Sin dalle prime battute, il progetto per la realizzazione di un canale tra il Mar Rosso e il Mar Morto – il bacino d’acqua con la quota più bassa al mondo (la superficie delle sue acque sta a circa 400 metri sotto il livello del mare) – è stato a lungo ostacolato da difficoltà di vario genere: burocratico, finanziario, ecologico. Senza contare le recenti tensioni diplomatiche tra Israele e Giordania e la mancanza di un governo stabile in Israele nell’ultimo biennio.
Lo scopo del «Canale della pace» era di risolvere, nel giro di trent’anni, l’emergenza dell’agonizzante Mar Morto, che va sempre più riducendosi. Il canale avrebbe dovuto essere utilizzato anche per produrre energia idroelettrica, sfruttando il dislivello tra i due mari. L’energia ottenuta, a sua volta, avrebbe potuto essere utilizzata per desalinizzare l’acqua di mare destinata al consumo o all’irrigazione. La salamoia rimasta da questo processo sarebbe stata versata nel Mar Morto.
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Con grande eco mediatica, nel 2013 era stata firmata una dichiarazione di intenti di alto profilo tra Israele, l’Autorità palestinese e la Giordania. Oggi il progetto sembra arenato nelle secche e Amman ha deciso di gettare la spugna. Lo ha annunciato il 15 giugno scorso il ministro dell’Irrigazione Mohammad al-Najjar: «Dobbiamo far fronte a bisogni urgenti e nessun accordo concreto è stato raggiunto sul progetto Mar Rosso-Mar Morto».
Un dissalatore operativo tra cinque anni
La Giordania, uno dei quattro Paesi più poveri d’acqua al mondo secondo il ministero dell’Ambiente giordano, «ora vuole andare avanti». Il regno ora sta investendo tutte le sue energie su un altro progetto, stavolta tutto nazionale, che mira a realizzare un impianto di desalinizzazione dell’acqua nel Golfo di Aqaba, nel Mar Rosso. La struttura dovrebbe diventare operativa nell’arco di cinque anni. Il progetto, il cui costo è stimato in «circa un miliardo di dollari» (quasi 826 milioni di euro), secondo l’Agenzia France Presse, comprenderà anche una rete di condutture che permetteranno di trasportare l’acqua potabile attraverso i vari governatorati. «Un progetto di queste proporzioni non è mai stato realizzato prima in Giordania», ha dichiarato alla testata Jordan News Issa Al-Wer, project manager del ministero per l’Acqua e l’Irrigazione.
Delle 13 aziende internazionali che hanno espresso interesse per il progetto, cinque saranno selezionate dal governo giordano entro luglio e dovranno presentare le loro offerte tecniche e finanziarie finali per condurre in porto l’opera. Anche l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid), la Banca europea per gli investimenti e l’Agenzia francese per lo sviluppo hanno già offerto un sostegno finanziario ed è in corso uno studio di impatto ambientale, che dovrebbe concludersi a fine luglio.
L’allarme siccità è sempre più serio
L’impianto produrrà tra i 250 e i 300 milioni di metri cubi d’acqua potabile all’anno. Attualmente, la domanda d’acqua nel Paese supera l’offerta di 400 o 500 milioni di metri cubi, secondo il rapporto del ministero dell’Acqua giordano. La situazione è destinata a peggiorare con la crescita della popolazione e il progressivo esaurirsi delle risorse. Secondo una stima rilanciata da The Times of Israel, l’acqua della Giordania è sufficiente a sostenere solo due milioni di persone, mentre il Paese attualmente ne conta quasi dieci.
Le previsioni di precipitazioni per i prossimi anni sono pessimistiche. La Giordania sta soffrendo una delle peggiori siccità della sua storia, dicono gli esperti, e il futuro potrebbe essere ancora più arido. Le piogge potrebbero diminuire di quasi un terzo entro il 2100.