Vi hanno accesso ancora in pochi, ma suscita interesse in molte nazioni del Medio Oriente la piattaforma Clubhouse, che consente di confrontarsi liberamente e con toni civili sui più svariati temi. Dall'Iran all'Egitto la reazione dei governi.
In una sala, cittadini sauditi stanno discutendo sulla possibilità di legalizzare gli alcolici nella penisola arabica. Nel Corano, osserva qualcuno, ci sono versi contradditori, la volontà di Allah non è così chiara, come sostengono i wahabiti. In un’altra sala, attivisti egiziani si chiedono come sfidare il regime autoritario di Al Sisi. In un’altra ancora, persone comuni e leader politici iraniani parlano delle prossime elezioni presidenziali e Faezeh Hascemi, figlia di un ex presidente della Repubblica islamica, esorta a battersi per uno stato laico in Iran, abolendo il potere assoluto che detiene la Guida suprema.
No, non è una fiction su un Medio Oriente dove finalmente regna la libertà di espressione. È ciò che sta succedendo nella realtà di questi giorni in migliaia di dibattiti dal vivo su Clubhouse, la nuova app di audio e conversazioni in diretta che sta spopolando nei Paesi della regione, specie in quelli più autoritari e repressivi. Il nuovo social, disponibile nell’area mediorientale dal gennaio 2021, è stato scaricato da un milione di utenti locali, pari al 7 per cento di tutti i connessi al social nel mondo. Clubhouse è un’applicazione nata appena un anno fa e destinata, per il momento, solo a chi possiede Iphone. Presto dovrebbe essere varata la modalità per Android. In Iran, dove la tecnologia autarchica non scarseggia, si sono già costruiti una versione pirata. All’app si può accedere su invito da parte di qualcuno che è già iscritto. Ci sono sale per tutti i gusti, dagli appassionati di gatti alle ricette di cucina: il suo punto forte, specie in Medio Oriente, è ovviamente la politica. «Si sperimenta in diretta la democrazia», commentano gli entusiasti.
Se dieci anni fa, attraverso Facebook e Twitter, si mobilitarono le piazze della Primavera araba, adesso il nuovo spazio della libertà, dei contatti e della diffusione di idee, sembrano essere le stanze virtuali di Clubhouse. Alcuni Paesi sono corsi già ai ripari. In Oman l’app è stata bloccata. In Iran, Emirati e Giordania sta diventando più difficile accedervi, in Arabia Saudita e in Egitto è stata travolta dalle critiche e dalle minacce dei conservatori dopo che certi dibattiti particolarmente audaci sono stati trascritti e divulgati. Per le giovani generazioni non è certo difficile aggirare blocchi e divieti o dissimulare l’identità degli utenti, anche se molta parte del fascino di Clubhouse sta proprio nella possibilità di parlare, discutere, ascoltare persone reali e non avatar.
In Iran, paese dove i social sono teoricamente proibiti ma di fatto usati apertamente anche dalle massime autorità del Paese, su Clubhouse sta andando in scena un dibattito pre-elettorale sulle presidenziali del prossimo 18 giugno, molto più autentico di quello offerto dai media ufficiali. A presentarsi nelle dirette audio, oltre alla pletora di possibili candidati, ci sono stati personaggi di calibro come il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif – travolto dallo scandalo della diffusione di sue registrazioni segrete in cui criticava il generale martire ed eroe nazionale Qasem Soleimani (ucciso dagli americani a Baghdad il 3 gennaio 2020 – ndr), il vicepresidente della Repubblica, Eshaq Jahangiri, il ministro delle Telecomunicazioni, Mohammad-Javad Jahromi, il quale ha assicurato che l’app non verrà chiusa.
Forse ancora più importante è il fatto che nelle stanze virtuali tornino a conversare, in maniera per lo più civile (le regole di Clubhouse sono inflessibili), persone divise dai tempi della Rivoluzione del 1979: iraniani rimasti in patria e iraniani emigrati, conservatori e riformisti, chierici e attivisti politici. Finora, tra di loro, erano stati solo insulti e minacce via Twitter e Facebook.
Qualcosa di simile – scrive il New York Times – sta accadendo anche tra egiziani filogovernativi ed egiziani sostenitori dei Fratelli Musulmani che sulla nuova app hanno trovato una zona franca dove raccontare le proprie esperienze e le proprie idee e dove essere ascoltati dagli altri, anche se sono avversari politici.
Certo Clubhouse rimane uno strumento, importante ma non da sopravvalutare, nelle dinamiche politiche dei Paesi arabi e in Iran. Una cosa sono i social, un’altra la realtà e i rapporti di forza sul terreno, come hanno dimostrato i tanti fallimenti della primavera araba e, in Iran, la sconfitta del Movimento Verde del 2009, organizzato attraverso il tamtam di Facebook e Twitter, contro i presunti brogli che portarono alla vittoria del presidente ultraconservatore Mahmud Ahmadinejad.