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Monte Meron, i nodi che vengono al pettine

Giorgio Bernardelli
3 maggio 2021
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Il problema posto dalla tragedia del Monte Meron va ben oltre il disastro in sé. Porta Israele a fare i conti con la questione dei tanti occhi chiusi sulle «norme parallele» tollerate per le comunità degli ebrei ultraortodossi.


Ci sono fatti dolorosi di cronaca che in certi momenti finiscono per assumere anche un carattere simbolico. Ed è quanto viene alla mente ripensando alle immagini giunte in questi giorni dal Monte Meron in Israele, il luogo della tragica morte di 45 persone – tra cui anche bambini – schiacciati nella ressa, lo scorso 30 aprile, durante il pellegrinaggio degli ebrei ultraortodossi alla tomba del maestro Shimon Bar Yochai in occasione della festa di Lag Ba’Omer.

Le indagini promesse faranno luce sull’esatta dinamica della tragedia. Ma il contesto appare già tremendamente chiaro nelle cronache dei giornali israeliani. Tutti riferiscono di come le criticità rispetto alla sicurezza di un luogo inadatto a celebrazioni con centinaia di migliaia di persone fossero note da tempo. Ed erano anche state sollevate. Alla fine, però, i ministri competenti avevano sempre chiuso più di un occhio, obbedendo alle pressioni dei partiti religiosi ebraici, la cui forza elettorale è fondamentale per chiunque voglia governare in Israele. Ancora poche ore prima del disastro un esponente religioso applaudiva al fatto che il ministro dell’Interno – Aryeh Deri, che è anche il leader politico dello Shas, il partito dei sefarditi – avesse «lottato come un leone» per evitare che fossero imposte limitazioni all’affluenza dei fedeli in pellegrinaggio al Monte Meron. Mentre un funzionario locale ha dichiarato al quotidiano Yediot Ahronot che se il raduno in quel posto lo avesse organizzato chiunque altro non sarebbe stato omologato per più di 15mila persone.

Il problema posto dalla tragedia del Monte Meron va ben oltre il disastro in sé. Porta Israele a fare i conti con la questione dei tanti occhi chiusi sulle «norme parallele» tollerate per le comunità degli ultraortodossi, che rappresentano circa il 12 per cento della popolazione. La motivazione per la quale non è stato possibile imporre nemmeno le più elementari regole di sicurezza a un pellegrinaggio è la stessa per cui – per esempio – si tollera il fatto che le donne siano separate dagli uomini sugli autobus pubblici in certi quartieri di Gerusalemme. Oppure che in certe yeshiva – le scuole rabbiniche per le quali i partiti religiosi ottengono importanti finanziamenti dallo Stato – si insegni un settarismo che poi sfocia negli atti violenti di intimidazione a chiese e moschee in Israele o nei Territori palestinesi.

Ed è interessante, a questo proposito, un articolo pubblicato ieri su The Times of Israel in cui Haviv Rettig Gur dà conto del dibattito interno ai giornali degli haredi sul dopo Monte Meron. Dove non mancano voci che iniziano a mettere in discussione un’«autonomia» dei religiosi che alla fine sta diventando un’anarchia autodistruttiva.

Del resto la frattura sempre più profonda tra laici e religiosi è una delle linee di tendenza che chi segue Israele osserva ormai da anni. Le stesse serie tivù israeliane che oggi spopolano sulle piattaforme internazionali, proprio di questa difficoltà parlano. Di un mondo a sé, che non si riconosce nel resto della comunità eppure, per mille aspetti, nello Stato di Israele è forza di governo. Con la politica nel suo insieme incapace di dare risposte. Perché se da una parte Netanyahu ha complicato in questi anni il problema capitolando ad ogni richiesta degli haredi pur di rimanere in sella (lo sta facendo ancora in queste ore, nel tentativo disperato di mettere insieme un governo entro la scadenza del suo incarico fissata per domani sera), dall’altra Yair Lapid, il leader più accreditato oggi nell’opposizione, ha costruito tutta la sua carriera politica sulla contrapposizione nei confronti dei religiosi. Come se bastasse far uscire i loro rappresentanti politici dalla stanza dei bottoni per risolvere il problema.

Che cosa rappresentano davvero gli ultra-ortodossi per l’Israele di oggi? Può uno Stato del XXI secolo tollerare che – in questa galassia in realtà molto più variegata di quanto sembri – permangano isole indipendenti e per molti versi anche sovrane? E chi immagina un Israele differente rispetto al blocco della destra nazionalista intorno a cui Netanyahu ha costruito la sua fortuna politica, come pensa di includervi i religiosi? Sono queste le vere domande che la tragedia del Monte Meron lascia aperte. Insieme al dolore per 45 vite calpestate in una notte che non è solo quella di Lag Ba’Omer.

Clicca qui per leggere l’articolo sul ruolo di Aryeh Deri nel pellegrinaggio al Monte Meron

Clicca qui per leggere l’articolo di Haviv Rettig Gur su The Times of Israel

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