Sembra una "primavera araba" in ritardo quella che nei giorni scorsi è andata in scena in varie città dell'Oman. La polizia contrasta duramente i manifestanti che chiedono riforme politiche e rilancio dell'economia.
La primavera araba arriva, dopo dieci anni, anche in Oman, complice la crisi economica causata dalla pandemia. Lunedì 24 maggio la polizia antisommossa dell’Oman ha sparato lacrimogeni sui manifestanti che scendevano nelle strade delle principali città del sultanato. Si tratta dei disordini più gravi dall’inizio del regno di Haytham bin Tariq divenuto sultano nel gennaio 2020 come successore del defunto Qabus bin Said.
Nel 2011 le proteste in Oman furono timide. Stavolta sono iniziate nella località di Sohar, con i manifestanti che lanciavano pietre e la polizia che sparava gas lacrimogeni per disperderli non lontano dalla sede del ministero del lavoro. Scene simili si sono viste a Nord, nella città di Al Batinah e a Sud, a Salalah, nel governatorato del Dhofar, dove già prima di domenica si era riscontrato un ampio spiegamento di forze dell’ordine. Il Dhofar, storicamente, è l’area del Paese con una forte presenza di tribù separatiste, rimaste silenti negli anni del sultanato di Qabus (inaugurato nel 1970 con un colpo di Stato – ndr). Verso le località dove si sono concentrati i rivoltosi, si sono dirette colonne di veicoli blindati dell’esercito, filmati in autostrada in video diventati virali sui social media. A Salalah i manifestanti sono stati caricati su pullman della polizia che li hanno portati via.
Le ragioni delle proteste, iniziate domenica scorsa, sarebbero state determinate da una grande quantità di licenziamenti e da una critica accesa nei confronti delle misure economiche del nuovo governo. Nel giugno 2020, grazie a un fondo sovrano, molte entità di proprietà statale sono state rilevate nel tentativo di ridurre la burocrazia. Lo scorso agosto, Haytham ha ristrutturato il governo, costringendo al ritiro molti ministri in carica da decenni. Alcuni attivisti chiedono che le riforme vadano oltre, includendo la separazione dei poteri tra il sultano e i suoi ministri. Riguardo all’economia, l’Oman ha già affrontato due anni di declino, nel 2019-2020, con una lieve ripresa prevista nel 2021. La capacità di spesa del Paese si è ridotta del 6,4 per cento nel 2020, secondo il Fondo monetario internazionale. La crisi pandemica e il ribasso del prezzo del petrolio hanno poi ulteriormente messo a dura prova le casse dello Stato. Si prevedeva già che l’Oman avrebbe registrato un deficit fiscale del 14,9 per cento del Pil nel 2021.
Adesso le nuove proteste sono guardate dall’estero con una certa apprensione, considerata la vicina guerra in Yemen, che infuria da sei anni, e il delicatissimo ruolo cerniera che il sultanato omanita gioca sia in questa sia in tutte le altre vicende geopolitiche che investono gli attori del Golfo.