Gli scontri violenti scoppiati a Lod e in numerose altre città israeliane tra residenti ebrei e arabo-israeliani (o palestinesi in Israele), tutti cittadini israeliani, mettono in evidenza le fratture che esistono all’interno dello Stato. Ma quanto pesano le minoranze non ebree in un Paese che, nel 2018, si è dato una legge secondo cui «l’esercizio del diritto all’autodeterminazione nazionale nello Stato di Israele è unicamente per il popolo ebraico»?
Oggi, su un territorio di 22 mila chilometri quadrati, Israele ha 9 milioni e 140 mila abitanti, di cui quasi 7 milioni (6.673.000, cioè il 74,1 per cento) sono ebrei.
Il quarto rimanente è costituito soprattutto da cittadini di etnia e lingua araba (1,89 milioni, corrispondenti al 21 per cento), sia musulmani sia cristiani. Altri 448 mila abitanti (4,9 per cento) costituiscono i gruppi etnici e religiosi minori, tra cui i drusi, i cristiani non arabi, e coloro che sono registrati come non appartenenti a nessuna religione.
Le statistiche sulla popolazione qui riportate, fornite dall’Ufficio centrale di statistica israeliano, si riferiscono solo ai cittadini dello Stato di Israele e non considerano i lavoratori stranieri (palestinesi dei Territori, immigrati da Asia e Africa, rifugiati, altri stranieri residenti) che sono almeno altri 400 mila abitanti.
I cosiddetti arabo-israeliani sono i palestinesi «rimasti» dopo la guerra del 1948 e la nascita di Israele. In maggioranza sono musulmani sunniti (1,2 milioni) concentrati in piccole città e villaggi del Nord, ma anche a Lod (30 per cento dei residenti), Ramla (20 per cento) e in grandi centri come Haifa (10 per cento) e Tel Aviv (3 per cento).
Circa 250 mila beduini, anch’essi musulmani, appartengono a una trentina di tribù, sparsi in ampie aree del Sud e vivono una transizione da una condizione di pastori nomadi a una vita stanziale. Gli arabi cristiani (in maggior numero melchiti e greco-ortodossi) sono 123 mila e vivono soprattutto nelle città di Nazaret, Haifa e Shefaram. I drusi sono 122 mila e parlano arabo. Disseminati in una ventina di villaggi nel Nord costituiscono una comunità religiosa e culturale ben distinta, particolarmente integrata nello Stato.
Nelle statistiche sui cittadini di Israele rientrano infine i circassi, che sono sunniti (circa 4 mila), di lontana origine caucasica; gli aramei, una minoranza di sole 200 famiglie di cristiani israeliani che dal 2014 non sono più identificati con gli arabi; poche centinaia di samaritani e bahai.
Numeri in cambiamento anche tra gli ebrei
Alla fondazione nel 1948 il Paese aveva solo 806 mila abitanti. L’anno dopo raggiunse il milione e nel 1958 i due milioni, per il massiccio arrivo di ebrei scampati alla Shoah o provenienti dai Paesi arabi. L’ultima grande ondata di immigrazione ebraica (aliyah) è seguita alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, dal 1990. Oggi vive in Israele il 45 per cento della popolazione ebraica mondiale, ma la percentuale di residenti ebrei nel complesso dei territori di Israele, Cisgiordania e Gaza è scesa sotto il 50 per cento, come è illustrato nella tabella.
In 70 anni la popolazione israeliana è più che decuplicata e, nell’ultimo anno, è cresciuta del 2 per cento (uno dei tassi più alti tra i Paesi occidentali), perlopiù grazie ai nuovi nati e, solo in parte, per i flussi migratori. La crescita interessa in modo diverso le varie comunità. Se negli anni Dieci gli ebrei sono aumentati in media dell’1,8 per cento, la componente araba è cresciuta del 2,4 (ma era il 3,4 per cento negli anni Novanta). I cristiani sono cresciuti dell’1,3 per cento, i drusi dell’1,7 per cento.
All’interno della componente ebraica stanno mutando gli equilibri demografici. Con le provenienze più diverse (ashkenaziti, sefarditi, mizrahì, Beta Israel), gli ebrei si possono suddividere anche tra religiosi, tradizionali e laici. Tra i religiosi sono in aumento soprattutto gli haredim (ultraortodossi). Superata da poco la soglia del milione, gli ultraortodossi hanno mantenuto nell’ultimo decennio una crescita costante. Il tasso di fertilità delle donne della comunità è più del doppio di quello generale. Secondo una stima dell’Ufficio centrale di statistica, in 40 anni gli haredim potranno essere metà di tutti gli ebrei del Paese. (f.p.)
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