Sono scesi per le strade di Gaza a migliaia per celebrare l’evento. L’entrata in vigore di un cessate il fuoco incondizionato negoziato tra Israele e Hamas con la mediazione dell’Egitto, nella notte tra giovedì 20 e venerdì 21 maggio dopo undici giorni di violenze consecutive, è vista come una vittoria dai palestinesi, che ritengono di aver tenuto testa a uno degli eserciti più potenti nel mondo.
Di nuovo c’è che lanciando più di quattromila razzi dalla Striscia di Gaza, Hamas ha ripetutamente costretto centinaia di migliaia di israeliani a correre nei rifugi e ha persino interrotto il traffico aereo (sull’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv). Gli scontri alla fine hanno provocato 12 morti da parte israeliana (tra i quali due lavoratori thailandesi e un’indiana – ndr), contro più di 240 da parte palestinese. Troppe vite spezzate, ma in definitiva a Gaza avrebbero potuto essere di più considerando la potenza di fuoco dello Stato ebraico, che ha optato per attacchi mirati volti a decimare alti funzionari di Hamas e distruggere la rete di gallerie sotterranee utilizzata dal gruppo islamista. Il primo ministro Benjamin Netanyahu in una conferenza stampa venerdì (21 maggio) ha salutato «gli sforzi estremi» compiuti dai militari per non danneggiare i civili.
Una temporanea tranquillità
La tregua non è che un bendaggio su una ferita in cancrena. La calma è tornata, ma non si sa fino a quando. «Il cessate il fuoco è solo una calma mascherata e temporanea. Scomparirà a breve, quando ricominceranno le violazioni dei diritti dei cittadini palestinesi», ha detto Hamza Qattina, un avvocato di Gerusalemme intervistato dai media del Middle East Eye.
Il caso di Sheikh Jarrah, il quartiere di Gerusalemme est che i coloni ebrei vogliono rivendicare e che inizialmente ha dato fuoco alla polvere, non è stato risolto. La Corte Suprema israeliana ha solo rinviato la data di una sentenza che si trascina da diversi anni e che potrebbe mettere altre sei famiglie palestinesi sulla strada.
Allo stesso modo, la violenza scoppiata tra cittadini ebrei e palestinesi nelle città israeliane di Lod, Jaffa o Beersheba, è la grande novità di questa fase. Illustrano le divisioni sempre più profonde tra queste due comunità, i cui diritti non sono uguali agli occhi di uno Stato che tende sempre più verso l’estrema destra. Ebrei e palestinesi devono ancora trovare le basi di quella giustizia su cui si potrà costruire una pace duratura.
Hamas ha avvertito. L’organizzazione riprenderà il fuoco se la giustizia israeliana espellerà le famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah e se la polizia attaccherà i fedeli alla msochea di Al-Aqsa. Un modo per il partito che governa Gaza per giocare in vantaggio, mentre Israele afferma di averne drasticamente ridotto le capacità militari. Se da una parte Hamas ha recuperato un suo ruolo dentro il movimento di protesta palestinese, è anche vero che con la sua campagna militare ha rafforzato Benjamin Netanyahu, desideroso di restare primo ministro, mentre si trova sotto processo per reati penali e ha fallito il primo tentativo di formare una coalizione di governo dopo le elezioni di marzo.