Il sogno è quello di far crescere verdure nel Sahara e, dando tempo al tempo, anche in altre aree desertiche del mondo: e poter così assicurare terra, cibo e acqua potabile a una popolazione mondiale presumibilmente di 9,3 miliardi di persone nel 2050, grazie ai pannelli solari e alla desalinizzazione dell’acqua marina. Dalla Giordania all’Egitto passando per Israele, che detiene da molti anni il primato mondiale per il riciclo delle acque reflue per l’irrigazione (oggi il tasso di riciclo sfiora il 90 per cento), i progetti di agricoltura sostenibile ed efficienza energetica avviati in questi anni nel Vicino Oriente con il sostegno dell’Unione europea e di diversi Paesi donatori si trovano sotto i riflettori della 51esima Giornata della Terra, che ricorre il 22 aprile.
La Giordania punta sul Sahara Forest Project
Una delle imprese più ambiziose è quella avviata in Giordania con un sistema di drenaggio di acqua salata dal Mar Rosso attraverso la sabbia per produrre biocarburanti ed elettricità: il Sahara Forest Project è stato inaugurato nel settembre 2017 dal re Abdallah II di Giordania con il principe Haakon di Norvegia (insieme all’Unione europea, il Paese scandinavo è il principale sponsor dell’impresa) in un’area di tre ettari nella città portuale di Aqaba, a ridosso del confine con Israele e a pochi chilometri da quello con l’Arabia Saudita. Attualmente le serre producono 130 tonnellate di verdure l’anno ma l’obiettivo è di arrivare a produrre 34mila tonnellate all’anno con la creazione di 800 posti di lavoro ecosostenibili.
Fondata su un approccio olistico e tecnologie integrate per affrontare le sfide legate alla sicurezza alimentare, idrica ed energetica, la nuova conduttura di acqua salata del Sahara Forest Project dovrebbe esser pronta per la fine del 2021 riuscendo a trasportare acqua dal Mar Rosso alle serre: qui delle installazioni biotecnologiche faranno evaporare l’acqua marina con i pannelli solari per produrre biocarburanti ed elettricità, insieme a raccolti e acqua purificata. Un sistema al quale hanno lavorato per anni ingegneri, biologi, esperti di ambiente, uomini d’affari per capitalizzare al massimo le sinergie tecnologiche minimizzando e riciclando gli scarti: in pratica la materia scartata da una tecnologia è utilizzata come risorsa da un’altra. Con l’ambizione di esportare il modello in Nord Africa. Un sogno, quello di ripiantare la vegetazione in aree aride ed invertire la rotta della desertificazione, che rappresenta una delle iniziative più visionarie nel Mediterraneo.
Israele, se la cooperazione sfida le divisioni
Non si tratta “solo” di salvare il nostro bistrattato pianeta. La transizione ecologica potrebbe aprire delle crepe nei muri delle divisioni geopolitiche in un’area, come il Medio Oriente, che ha più che mai bisogno di cooperazione. L’ultimo guanto di sfida è stato lanciato nelle scorse settimane al governo in via di formazione da Uri Marinov, ex direttore generale del ministero dell’Ambiente israeliano ed oggi direttore del dipartimento di Gestione ambientale dell’Università di Haifa, che sul quotidiano Haaretz ha firmato un articolo all’indomani delle elezioni dal titolo Ecco come Israele, Egitto e Giordania possono combattere insieme il surriscaldamento. «È sempre più chiaro – rimarca Marinov – che la soluzione al surriscaldamento globale sta nel porre fine all’utilizzo di petrolio e gas con il passaggio all’energia solare: quest’ultima si basa sia sull’installazione di collettori solari in grandi aree soleggiate e nello sviluppo di batterie a basso impatto ambientale e a buon mercato già disponibili o, in alternativa alle batterie, nella creazione di “idrogeno verde” già utilizzato in alcune industrie, senza emissioni di gas che determinano l’effetto serra. Ora, in un paese piccolo come Israele è possibile che non ci siano aree sufficientemente estese per installare collettori solari; ma i nostri due vicini, Giordania ed Egitto, dispongono di amplissime aree desertiche, con condizioni climatiche ideali per produrre energia solare: uno studio pubblicato nel 2020 stima che l’utilizzo dell’8 per cento di superficie del deserto del Sahara potrebbe fornire tutta l’energia di cui l’intero pianeta ha bisogno. Ecco perché proponiamo di esaminare l’idea della cooperazione con la Giordania e l’Egitto, con l’installazione di pannelli solari nelle aree desertiche di questi due Paesi. Con l’energia prodotta potremmo generare elettricità e idrogeno: l’idrogeno potrebbe esser trasportato tramite condutture per gli usi industriali e di trasporto dei tre Paesi. Tutti i partner coinvolti in questo progetto ne trarrebbero benefici economici, sociali e ambientali».
In Egitto quasi 700 progetti verdi per il 2020-2021
Intanto in Egitto sono stati previsti 691 progetti verdi nella programmazione di bilancio per il 2020 e 2021. Il costo complessivo è di poco più di 447 miliardi di sterline egiziane, l’equivalente di oltre 23 miliardi e 700 milioni di euro. Si tratta del 14 per centro del piano di investimenti pubblici totali per il biennio, e la ministra dello Sviluppo economico Hala Al-Saeed ha detto di voler aumentare questa percentuale al 30 per cento per il 2021 e 2022, attraverso incentivi prioritari ai ministeri che si spostano verso progetti ecosostenibili. Nel frattempo è in preparazione una guida con gli standard di sostenibilità che possa espandere il più possibile i piani del governo sulla transizione ecologica. Il governo egiziano, del resto, ha emesso obbligazioni verdi per una somma pari a 750 milioni di dollari (poco meno di 625 milioni di euro) per cinque anni: si tratta dell’importo più alto in tutto il Medio Oriente e Nord Africa, ed è il primo di questo tipo in Borsa.
Superare la pandemia, accelerare la transizione
Il Covid ha impresso una brusca battuta d’arresto tanto alle economie quanto ai progetti ambientali nella regione. È però evidente che forse mai prima d’ora si è creata una convergenza così vasta sulla necessità di cambiare rotta, e di fare in modo di non sprecare in ogni caso un cambiamento epocale di queste proporzioni. Fra i promotori di questi progetti c’è una grande attesa che, una volta che la pandemia sia sotto controllo, ci possa essere un’accelerazione globale verso la conversione ecologica: le buone pratiche, le soluzioni, le tecnologie sono già lì.