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Armenia e Israele, amicizia mancata

Terrasanta.net
23 aprile 2021
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Armenia e Israele, amicizia mancata
Gerusalemme, quartiere armeno: bandiere dell'Armenia e del Nagorno Karabakh alle finestre durante la guerra dell'autunno 2020.

24 aprile è il giorno in cui si commemora il genocidio armeno durante la prima guerra mondiale. Mentre la Casa Bianca dà conferma del riconoscimento da parte degli Usa, già espresso dal Congresso, Israele si tiene lontano da questo atto, simbolo di una memoria condivisa. Perché?


Il genocidio degli armeni e delle altre minoranze cristiane culminato nel 1915-1917 nell’Impero ottomano è riconosciuto a livello internazionale dalla Chiesa cattolica, da una trentina di Stati e numerose istituzioni locali. In questo numero di Paesi non rientra però Israele. Nonostante una certa simpatia per l’Armenia, lo Stato ebraico ha continuato a condurre la sua politica nel Caucaso secondo linee della Realpolitik. Nello scontro ormai decennale tra azeri e armeni, l’Azerbaigian è risultato utile a Israele nel suo confronto con l’Iran. Non c’è memoria condivisa che tenga: Israele sostiene Baku.

Questo è stato visibile durante il mese e mezzo di guerra nel Nagorno Karabakh combattuta tra il 27 settembre e 10 novembre 2020, in cui l’Azerbaigian ha riconquistato buona parte dei territori che aveva perso a vantaggio dell’Armenia negli anni Novanta. Il conflitto ha provocato almeno cinquemila morti e si è interrotto con l’armistizio imposto dalla Russia agli armeni, militarmente sconfitti. Un gran numero di armeni è fuggito dalle zone conquistate dagli azeri e da quelle passate sotto il controllo della stessa Russia, che ha dispiegato duemila uomini come forza di interposizione.
L’Azerbaigian ha avuto la meglio nell’offensiva perché sostenuto dalla Turchia, sua stretta alleata, che lo avrebbe rifornito sia di forze mercenarie provenienti dalla Siria, sia di tecnologie avanzate, come i droni.

Ma anche Israele è stato indirettamente coinvolto nel conflitto, che ha segnato una profonda frattura con gli armeni. Secondo il Sipri di Stoccolma, il principale centro di ricerca sugli armamenti, nel periodo 2014-2018, Israele è stato l’ottavo esportatore mondiale di armi, con il 3,1 per cento del giro d’affari mondiale, e, dopo l’India, il principale acquirente di armi israeliane è stato proprio l’Azerbaigian, che rifornisce una quota considerevole dei consumi israeliani di gas e petrolio. Questo Paese, che fino al 1992 era parte dell’Urss, è di lingua e cultura appartenente all’area turca, e in maggioranza è musulmano sciita. Ma, come scriveva il Times of Israel nel marzo 2019: «L’Azerbaigian è visto come un importante alleato dello Stato ebraico, poiché condivide un confine con la nemesi di Israele, l’Iran».

Armi israeliane agli azeri

Uno dei sistemi d’arma più importanti venduti da Israele agli azeri sono gli Iai Harop, droni «kamikaze» (perché si distruggono dopo avere colpito il bersaglio), che hanno fornito un notevole vantaggio sugli armeni. Inoltre, Israele ha venduto a Baku munizioni cluster Mo95 Dpicm. Le bombe a grappolo sono illegali dal 2010, secondo una Convenzione internazionale cui non aderiscono né l’Azerbaigian, né l’Armenia, né Israele. Il loro impiego nella guerra in Nagorno Karabakh è stato denunciato sia da Amnesty International, sia da Human Rights Watch.

Di fronte a questo, gli armeni che vivono in Israele (in tutto circa cinquemila persone) hanno reagito: il patriarca armeno apostolico di Gerusalemme, Nourhan Manougian, ha scritto a Benjiamin Netanyahu per chiedergli di interrompere i rifornimenti bellici agli azeri. Nel quartiere armeno della città vecchia di Gerusalemme sono comparse bandiere del Nagorno Karabakh in segno di solidarietà e manifestazioni pro-armene si sono tenuta davanti alla Knesset che è sfociata in scontri con sostenitori dell’Azerbaigian, che secondo Haaretz, sarebbero stati ebrei di origine azera. Nel Paese sono circa 100mila, giunti dopo la fine dell’Urss.

Relazioni complicate

La storia delle relazioni diplomatiche fra Armenia e Israele non è stata semplice, anche se uno dei quartieri della città vecchia di Gerusalemme racchiude una presenza armena antica più di quindici secoli. Solo nel settembre 2020 il Paese caucasico aveva aperto la sua ambasciata a Tel Aviv. Appena due settimane dopo, scoppiata la guerra nel Nagorno Karabakh, ha ritirato il suo ambasciatore. I rapporti diplomatici tra Israele e Yerevan (indipendente dal 1992), infatti, non si sono consolidati come si potrebbe immaginare e lo Stato ebraico ha mantenuto relazioni di basso profilo.

Ma ad aumentare la delusione degli armeni, desiderosi di vedere riconosciuto a livello internazionale il loro tragico passato storico, vi è anche il rifiuto dello Stato ebraico di compiere questo passo, anche se le forse di opposizione nella Knesset hanno più volte cercato di far approvare ufficialmente il riconoscimento.

Quando lo scorso autunno il presidente israeliano Reuven Rivlin ha dichiarato che la cooperazione con l’Azerbaigian non è rivolta contro altri, un dirigente armeno del Nagorno Karabakh gli ha risposto che «i sopravvissuti a un genocidio sono ugualmente responsabili di questo genocidio». Risposta molto dura che tocca un punto sensibile. «La posizione attuale di Israele indica ironicamente che Israele ha un atteggiamento sfavorevole verso l’Armenia e il popolo armeno che hanno conosciuto il primo genocidio del XX secolo», ha scritto il patriarca Manougian a Netanyahu, aggiungendo che Israele ha un obbligo morale.

In cerca di un’alleanza «naturale»

Agli occhi degli armeni questo riconoscimento dovrebbe essere una cosa logica, ma questa alleanza «naturale» non esiste. L’intreccio è complesso: l’Armenia ha buoni rapporti con l’Iran e Israele vede nella Turchia uno dei Paesi più affidabili nella regione. Andare d’accordo con l’acerrimo nemico dell’altro non aiuta a distendere gli animi. L’imperativo morale e storico che potrebbe unire israeliani e armeni contro ogni minaccia di genocidio non si è realizzata. L’Armenia non ha da offrire risorse energetiche e non offre vantaggi strategici.

Secondo Gabriele Nissim, anima di Gariwo la foresta dei Giusti, «le questioni morali sono più importanti della Realpolitik. Un Paese che chiede al mondo di non dimenticare l’Olocausto dovrebbe essere il primo al mondo a ricordare il genocidio armeno». Per questo mentre la guerra nel Nagorno Karabakh mieteva vittime, ha rilanciato l’appello di alcuni dei più importanti intellettuali israeliani, che hanno sollevato il problema di questa contraddizione morale: per salvaguardare i vantaggi dell’amicizia con la Turchia e l’Azerbaigian, non ha mai riconosciuto che armeni, e altri cristiani alla fine dell’Impero ottomano, hanno subito un genocidio. (f.p.)

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