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Se l’economia della Custodia vacilla

Marie-Armelle Beaulieu
31 marzo 2021
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Se l’economia della Custodia vacilla
Fra Ramzi Sidawi, economo della Custodia di Terra Santa. (foto Nadim Asfour/Cts)

Con i suoi 800 anni di vita, la Custodia francescana di Terra Santa sembra una cittadella incrollabile nel paesaggio cristiano locale. Anch'essa si misura però con le pesanti ricadute economiche della pandemia in corso. Come spiega l'economo, fra Ramzi Sidawi.


Ci accoglie nel suo ufficio presso la curia della Custodia di Terra Santa nel convento di San Salvatore, dentro le mura della città vecchia di Gerusalemme a Porta Nuova, fra Ramzi Sidawi. È lì che, da cinque anni, questo dottore in teologia dogmatica presidia i destini finanziari della provincia francescana di Terra Santa, rivestendo la pesante responsabilità di economo. In tempi di pandemia, la calma di questo francescano 49enne è apprezzabile.

Sia pure silenziosamente, la Custodia vacilla, così come tutte le istituzioni cristiane in Terra Santa. La crisi del coronavirus sta provocando una serie di reazioni a catena non solo nei santuari, punta dell’iceberg dell’impegno dei francescani in Terra Santa, ma anche in tutte le loro opere sociali ed educative.

Con i suoi 46 santuari in attività, la Custodia è stata la prima ad accusare il colpo dell’interruzione dei pellegrinaggi. Da un giorno all’altro – nel marzo 2020 – i santuari, fino a quel momento affollati, si sono trovati senza pellegrini. Mentre i religiosi sul campo hanno improvvisamente percepito la sensazione di vuoto, i superiori delle comunità hanno ben presto compreso che ci sarebbero state anche conseguenze economiche.

«Nel bilancio della Custodia, la manutenzione ordinaria dei santuari è normalmente assicurata dalla generosità dei pellegrini», spiega fra Ramzi. Prendiamo l’esempio della fraternità di Betlemme. Le sue esigenze sono soddisfatte dal denaro depositato nelle cassette delle offerte, o dalle somme che i fedeli lasciano per la celebrazione delle messe. In un santuario molto frequentato come quello attiguo alla basilica della Natività, le somme raccolte ci permettono di provvedere ai bisogni di quindici frati, quattro suore al servizio della comunità e di pagare il salario di dieci dipendenti, oltre che provvedere alla manutenzione quotidiana degli edifici. Il raggiungimento del pareggio di bilancio va a seconda degli anni. Se c’è un avanzo, il denaro extra viene trasferito qui all’economato generale. Se c’è un disavanzo, l’economato interviene a ripianare. Le situazioni variano da un santuario all’altro. Non bisogna dimenticare che alcuni – come Naim, Sephoris, Magdala in Galilea o Emmaus-Qubeybeh e Gerico in Cisgiordania – sono quasi privi di entrate, anche in tempi normali. Detto questo, salvo i casi in cui è necessario sostenere spese particolarmente ingenti, l’economato di solito guarda con fiducia a questa parte del suo bilancio, che va in pareggio. Da un anno a questa parte, in assenza di pellegrini, l’economato deve farsi carico ogni mese della vita di 57 fraternità, inclusi i 46 santuari.

In forza 300 frati e 1.200 dipendenti

La Custodia è composta da 300 frati, ma dà lavoro a 1.200 persone. «La voce di bilancio più consistente per noi sono le scuole». La Custodia ne conta dieci, che danno lavoro alla maggioranza dei suoi dipendenti. In Israele, come in Palestina, le Terra Sancta Schools, come vengono chiamate, hanno dovuto gestire un alternarsi di aperture e chiusure. Dall’inizio della crisi, un anno fa, sono stati di più i giorni di chiusura che quelli di regolare svolgimento delle lezioni in aula. Ogni responsabile scolastico ha dovuto misurarsi con questa situazione. L’economato e l’ufficio risorse umane – affidato a fra Stéphane Milovitch – hanno dovuto destreggiarsi a seconda delle categorie professionali. Gli insegnanti hanno continuato a fornire lezioni tramite la didattica a distanza e le piattaforme di videoconferenza. Hanno quindi continuato a ricevere regolarmente lo stipendio. Per le altre figure professionali, si è proceduto nel ridimensionamento caso per caso. Bisognava decidere se mettere i dipendenti in cassa integrazione o in congedo non retribuito. «In Israele – annota fra Ramzi – queste misure sono state accompagnate dal governo, che ha istituito un sistema di indennità compensative. In Palestina, il governo ha chiesto ai datori di lavoro di garantire il più possibile il 50 per cento dei salari senza scendere sotto i 1.000 shekel (250 euro) al mese, poiché il governo non è in grado di stanziare sussidi di disoccupazione o altre forme d’aiuto economico in tempi di pandemia».

Le difficoltà delle famiglie palestinesi

Nella gestione finanziaria delle scuole, ora bisogna fare i conti con il fatto che molte famiglie si sono trovate in difficoltà finanziarie e hanno smesso di pagare le rette. La crisi ha anche creato molti disoccupati tra i liberi professionisti e la comunità cristiana è fortemente investita nel disastro del comparto del turismo. «Tutti i dipendenti delle nostre case per pellegrini sono in una specie di cassa integrazione. Un certo numero di persone tra i dipendenti e tra i fedeli delle nostre parrocchie, è venuto a chiederci aiuto perché sostenere la famiglia con un salario dimezzato è difficile».

I sacerdoti sono stati sollecitati a soccorrere chi bussa alle porte delle loro case. «Non siamo ricchi quanto la gente pensa – osserva l’economo –. Per far fronte alla crisi abbiamo agito su più piani. Anzitutto cerchiamo di risparmiare sospendendo una serie di progetti ritenuti non prioritari. In secondo luogo facciamo economia sulle spese necessarie. A Nazaret, per esempio, abbiamo dovuto sostituire un automezzo optando per uno di seconda mano. Infine cerchiamo di rispondere alle richieste di assistenza. Per farlo, ci appoggiamo alle organizzazioni che ci consentono, in Israele come in Palestina, di aiutare le famiglie a pagare l’affitto o a ricevere buoni per la spesa».

La Colletta di Terra Santa, una boccata d’ossigeno

In una situazione senza precedenti come quella attuale, fra Ramzi non nasconde la sua preoccupazione. «Quest’anno siamo andati avanti con i fondi della Colletta del Venerdì Santo 2019. Nel 2020 la Colletta non è stata indetta in vari Paesi del mondo; in altri ha prodotto solo dal 20 al 30 per cento dei suoi risultati abituali. Fortunatamente negli Stati Uniti è andata quasi normalmente, perché non vigevano misure particolari di confinamento per arginare il contagio. Anche in Canada è andata bene perché le misure di confinamento sono state introdotte più avanti nel tempo. Nel suo complesso la raccolta è comunque in netto calo. Stiamo ancora tirando le somme. Penso che le conseguenze si faranno sentire per diversi anni. Ciò potrebbe benissimo contribuire a rimotivarci nel nostro voto di povertà e nella nostra vocazione di Ordine mendicante…».

Fra Ramzi sorride davanti all’invito insistente che il Signore sembra rivolgere alla Custodia. «Siamo religiosi e dobbiamo confidare nella Divina Provvidenza che non mancherà di venirci in aiuto». Nel frattempo l’economo conta anche sulle ong della Custodia e su tutte le istituzioni disposte ad aiutare. «Abbiamo imparato che meglio rappresentiamo le nostre necessità, inquadrandole in progetti ben documentati, e maggiore è la generosità che viene messa in campo. È così che negli ultimi anni abbiamo potuto sostenere i nostri fratelli in Siria e che siamo riusciti a riparare il convento di Beirut devastato dall’esplosione del 4 agosto scorso».

Per ora, quando fa i conti, fra Ramzi è costretto ad ammettere: «Stiamo tenendo duro, ma se dovessero subentrare eventi inattesi e costosi, non avremo modo di affrontarli».

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