Lo stanno corteggiando tutti e un po’ se lo aspettava. Si chiama Mansour Abbas e potrebbe essere il vero ago della bilancia nella formazione del prossimo governo d’Israele. È il leader della Lista araba Ra’am (staccatosi dalla Lista unita proprio per avere le mani libere in vista di un accordo di governo anche con le destre). Con i suoi quattro seggi Ra’am potrebbe determinare davvero le sorti del nuovo governo. Qualche giorno fa il leader del partito Blu e Bianco Benny Gantz ha incontrato Abbas per esortarlo a sostenere un «percorso di cambiamento». Tradotto: a sostenere un governo che mandi Netanyahu all’opposizione. Ma la prospettiva appare difficile, perché Abbas – leader spregiudicato, ripete in ogni occasione che Ra’am «non è né di destra né di sinistra». Il che significa che è pronto ad allearsi con qualsiasi schieramento, a prescindere dal colore politico e sulla base delle proposte (e dei vantaggi) che gli verranno prospettati. «Vogliamo contattare le due parti (Netanyahu e il blocco avverso) – ha dichiarato alle agenzie –. Se viene presentata una proposta valida per gli arabi in questo Paese, ci siederemo e ne discuteremo con i nostri interlocutori».
«Il più delle volte i partiti arabi sono iscritti automaticamente alla sinistra – aveva detto nel dicembre scorso in un’intervista – senza considerare le questioni chiave. Non siamo nelle tasche della sinistra o della destra. Dobbiamo agire nell’interesse della società araba che ci ha scelto».
Dopo avere lasciato la Lista unitaria di Ayman Odeh, che nel marzo 2020 s’era aggiudicata 15 seggi, con la tornata elettorale del 23 marzo scorso Abbas manda, in maniera inaspettata, quattro parlamentari alla Knesset.
Qual è la situazione ora, in attesa che il presidente Rivlin attribuisca l’incarico di formare il governo all’uno o all’altro fronte?
Il blocco di destra del primo ministro Benjamin Netanyahu conterebbe 59 seggi su 120 (ne servono 61 per avere la maggioranza in parlamento). Il «campo del cambiamento», come viene chiamato, conta viceversa 57 voti. In entrambi i casi Abbas darebbe le carte. C’è anche una terza possibilità, l’appoggio esterno a una delle due coalizioni.
Con Netanyahu o contro, gli arabi decisivi
La novità vera, se Israele vorrà evitare di andare alle quinte elezioni nell’arco di poco più di due anni, è proprio questa: il superamento del tabù che finora ha escluso gli arabi dal governo. Del resto oltre un quinto dei nove milioni di cittadini israeliani è arabo.
Una semplice constatazione che induce il Jerusalem Post, il giornale filo-governativo per eccellenza, ad affermare che «ci sono tutte le ragioni per includere un partito arabo nella nuova coalizione». Con Abbas al governo i cittadini arabi conteranno di più? Verranno affrontati i veri problemi che la comunità araba patisce, come povertà, violenza e limitazioni abitative?
Come prenderà un eventuale ingresso degli arabi nella stanza dei bottoni la maggioranza che sostiene Netanyahu? E come spiegherà Abbas ai suoi sostenitori (molti dei quali provengono dalle fila dei movimenti islamici) la scelta di sostenere un governo sionista che non più tardi di un paio d’anni fa ha decretato che Israele debba essere lo Stato degli ebrei? Sono tutte domande a cui non è per nulla facile rispondere.
«Dopo quattro elezioni consecutive, però – spiega ancora il Jerusalem Post nell’editoriale di ieri 30 marzo – ci deve essere un cambiamento significativo nel sistema democratico israeliano». Insomma, Israele «è pronto – per la prima volta dopo 73 anni – per un partito arabo al governo».
Dovesse davvero accadere, sarebbe un cambiamento epocale.