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Il Papa in Iraq, un’attesa durata vent’anni

Elisa Pinna
2 marzo 2021
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Il Papa in Iraq, un’attesa durata vent’anni
Fedeli nella cattedrale caldea di San Giuseppe a Baghdad. Qui papa Francesco celebrerà la messa nel pomeriggio di sabato 6 marzo. (foto Ameer Al Mohammedaw/dpa)

Padre Karam Qasha, un sacerdote caldeo che opera a Ninive, ci racconta l'attesa dei cristiani iracheni per l'imminente visita di papa Francesco. Insieme alle speranze, difficoltà e delusioni di tutti i giorni.


Le messe sono affollate come non mai. I giovani sono impegnati in mille preparativi e, per la prima volta in decenni, la comunità cristiana ritrova orgoglio e fiducia: tra pochi giorni papa Francesco giungerà in Iraq, per un viaggio intenso e coraggioso che dal 5 all’8 marzo lo porterà in molti luoghi simbolo del Paese. Da Baghdad a Qaraqosh la città martire cristiana nella piana di Ninive; da Mosul, ex caposaldo del sedicente Stato islamico (Isis), ad Erbil, capitale della regione autonoma del Kurdistan iracheno; dalla città santa sciita di Najaf a Ur dei Caldei, terra del patriarca biblico Abramo.

«È da venti anni che aspettiamo questo momento, da quando papa Giovanni Paolo II era pronto a partire in missione per l’Iraq per evitare una guerra che invece si scatenò (nel 2003 – ndr), portò al tracollo del regime di Saddam Hussein e ad una recrudescenza terribile di persecuzioni contro la minoranza cristiana», spiega in una videoconferenza dall’Iraq con un gruppo di vaticanisti occidentali padre Karam Qasha, sacerdote iracheno a Ninive. «Per noi Papa significa papà. Francesco è un padre che viene a sostenere i suoi figli, a curare le ferite, a ridare speranza. A ricordare ai cristiani iracheni che non sono soli». «Come Chiesa siamo impegnati con tutte le nostre forze a creare per il nostro Santo Padre un clima di grande accoglienza, e siamo sicuri che il governo iracheno garantirà misure eccezionali di sicurezza».

Padre Karam Qasha, sacerdote cattolico di rito caldeo.

Certo, sottolinea padre Karam, una ventina d’anni fa i cristiani in Iraq erano oltre due milioni, adesso se ne contano 250 mila, 300 mila al massimo. «Nella mia parrocchia di Ninive, vivevano 1.450 famiglie. Ora, dopo gli anni dell’invasione militare a guida statunitense, della guerra civile e dell’Isis, sono rimasti circa 500 nuclei familiari». La vita per la minoranza cristiana non è facile, ammette il sacerdote. «Intanto l’Isis è tutt’altro che scomparso. Ed anche prima che arrivassero i miliziani del Califfato, i cristiani erano percepiti come una comunità divenuta estranea e destinata a sparire». «Nei nostri villaggi, quando una famiglia cristiana cercava di costruirsi una casa , era derisa dai vicini: “Bravi! Lavorate. Tanto quella casa sarà nostra”, dicevano».

«Non è facile perdonare chi ti ha fatto tanto male, specie se continui a incontrarlo ogni giorno. Però cerchiamo di farlo. Il perdono è possibile a condizione che da tutte le parti vi sia desiderio di ricostruire la convivenza»

«In effetti – afferma padre Karam – molti saccheggi, molti furti sono stati compiuti non solo dai terroristi dell’Isis, ma anche da persone che ci vivevano, e ci vivono ancora, accanto». Siete riusciti a perdonarli? «Non è facile perdonare chi ti ha fatto tanto male, specie se continui a incontrarlo ogni giorno. Però cerchiamo di farlo. Il perdono è possibile a condizione che da tutte le parti vi sia desiderio di ricostruire la convivenza. Noi cristiani vogliamo solo vivere in pace, in sicurezza, insieme alle nostre famiglie e ai nostri figli. Questi sono i nostri valori. In Iraq, non ragioniamo in termini individualistici. Per voi occidentali è difficile capirlo, ma per noi la vita ha un significato in quanto appartenenti a una famiglia, a una comunità, a una identità religiosa». «Purtroppo – prosegue il sacerdote – talvolta anche nei libri scolastici governativi, i cristiani sono descritti quasi come “infedeli”».

Per questi motivi, la visita di papa Francesco ha tanta importanza: «Serve a fare sentire la presenza della Chiesa, le sue radici storiche, non solo in Iraq, ma in tutto il Medio Oriente. Noi cristiani locali ne abbiamo un bisogno enorme».

«L’Iraq è un Paese ricchissimo, eppure l’85 per cento della popolazione vive nella povertà»

Padre Karam è convinto che il Papa, nei suoi incontri con le autorità politiche irachene, non tacerà sui divari economici, sulla corruzione interna al Paese e sulla voglia di cambiamento che sale dalle piazze e dalle giovani generazioni. «L’Iraq è un Paese ricchissimo – osserva il sacerdote – eppure l’85 per cento della popolazione vive nella povertà. I proventi delle risorse qui finiscono solo nelle tasche di pochi. Noi aspettiamo le parole del Papa. Non credo, però, che le autorità gli presteranno un grande ascolto. Quando ci sono di mezzo i soldi, fanno tutti finta di non sentire. Speriamo che una voce diversa possa dare almeno una scossa, anche se non ci saranno grandi cambiamenti».

Quanto all’incontro in programma a Najaf tra papa Francesco e l’ayatollah al Sistani, guida spirituale degli sciiti iracheni e del Golfo Persico, «si tratterà di un momento cruciale di dialogo tra due grandi leader religiosi», sia dal punto di vista dei cristiani che dei musulmani sciiti. L’evento è stato voluto e preparato personalmente dal patriarca caldeo, il cardinale Louis Raphael Sako. «La speranza è che serva a far ripartire quel rapporto di fiducia tra musulmani e cristiani che purtroppo si è interrotto negli ultimi decenni, dopo secoli di storia comune», dice padre Karam.

Clicca qui per un servizio video da Karakosh realizzato dal Christian Media Center.

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