Come andrà quello che suona come un nuovo referendum pro o contro il più longevo primo ministro dello Stato ebraico: Benjamin Netanyahu? Il quadro è più che mai complesso. Cosa immaginano i sondaggi?
Manca poco più di una settimana in Israele al nuovo appuntamento con il voto. E quella che si va profilando è la più strana tra le quattro elezioni che si sono succedute nell’arco di appena due anni. Perché lo schema – è vero – è sempre lo stesso: siamo all’ennesimo referendum pro o contro Benjamin Netanyahu. Ma stavolta il mosaico è davvero molto complicato. E non sarà facile anche solo leggere i risultati che la sera di martedì 23 usciranno dalle urne.
Intanto: se siete rimasti fermi al testa a testa tra Netanyahu e Benny Gantz siete fuori strada. Dopo il suicidio politico commesso in primavera accordandosi con il Likud l’ex generale sarà già tanto se col suo partito riuscirà ad entrare alla Knesset superando la soglia di sbarramento del 3,25 per cento. Gantz è ormai fuori dai giochi; però non esiste un vero sostituto. O meglio: i sondaggi danno le forze che giurano di non allearsi con Netanyahu come maggioritarie, ma in un fronte estremamente frammentato e composto da formazioni incompatibili tra loro. Quella che dovrebbe raccogliere più consensi è Yesh Atid (C’è un futuro), partito centrista di impronta laica guidato da Yair Lapid, ex giornalista televisivo in politica ormai da una decina d’anni. Ma per la sua avversione ai partiti religiosi ebraici per riuscire a togliere lo scettro a Netanyahu dovrebbe mettere insieme uno schieramento che va dall’ex Likud (e leader del neonato partito Nuova Speranza) Gideon Sa’ar ai pacifisti del Meretz. Un’impresa decisamente difficile.
Anche Netanyahu, però, ha poco da stare tranquillo. Perché è vero, non ci sono dubbi sul fatto che tra una settimana sarà ancora lui il leader del partito di maggioranza relativa nel parlamento israeliano. Ma Bibi contava di capitalizzare nelle urne il consenso per l’operazione vaccini anti Covid-19, su cui ha puntato tutto (compresa la possibilità di svicolare il processo sulle tre accuse per corruzione che proprio la pandemia in questi mesi ha rallentato). Invece i sondaggi non sembrerebbero dargli ragione: dovrebbe fermarsi sotto quota 30 seggi sui 120 della Knesset. E in un sistema proporzionale puro come è quello israeliano vorrebbe dire ricominciare per la quarta volta a comporre un altro puzzle difficilissimo. Dalla sua il Likud ha certamente i voti dei due partiti religiosi: lo Shas (sefardita) e Giudaismo unito nella Torah (aschenazita). Anche Yamina, il partito di Naftali Bennett, quasi certamente tornerebbe all’ovile. Solo che i voti di queste quattro formazioni da sole anche stavolta difficilmente basteranno.
Per questo Netanyahu ha puntato molto su un nuovo partito ancora più a destra di Yamina: si chiama Partito Religioso Sionista ed è frutto dell’alleanza tra Bezalel Smotrich – quarantenne popolarissimo nel mondo dei coloni – e l’ultranazionalista Itamar Ben-Gvir di Oztma Yehudit, il partito che si rifà all’ideologia apertamente razzista di Meir Kahane. La scommessa di Bibi è che passino la soglia di sbarramento e gli diano i voti necessari per arrivare all’agognata quota 61.
Anche questo scenario, però, al momento è molto in forse: il Partito Religioso Sionista dovrebbe entrare sì alla Knesset, ma togliendo seggi a Yamina e ai due partiti religiosi.
A quel punto a Netanyahu rimarrebbe solo l’ultimo jolly, quello più sorprendente: il partito arabo Ra’am, uscito dalla Lista Araba Unita e in corsa in solitaria a queste elezioni. Il suo leader Mansur Abbas – in aperta contrapposizione ad Ayman Odeh (il leader della Lista Araba Unita ndr) – in nome di un ipotetico «pragmatismo» nell’interesse degli arabi israeliani che vivono nel nord di Israele, in questi ultimi mesi ha più volte ventilato la possibilità di un appoggio esterno a Netanyahu a determinate condizioni. Anche per questo – come raccontavamo già qualche settimana fa – Bibi in questa campagna elettorale ha puntato molto sugli arabi israeliani. Ma non si vede come neanche lui possa riuscire a tenere insieme i voti di Itamar Ben-Gvir e Mansur Abbas.
Attenzione, però: Israele ha una lunga storia di sondaggi pre-elettorali sbagliati. E questa volta è tutto ancora più difficile; ci sono, infatti, ben quattro formazioni vicinissime alla soglia di sbarramento. Basta dunque una manciata di voti in più o in meno per ciascuna a cambiare di molto la partita. Riaprendo o chiudendo molti giochi. Con un ultimo particolare a complicare ulteriormente la scena: il 24 luglio finirà il mandato del presidente israeliano Reuven Rivlin che per legge non è rieleggibile. Dunque, comunque vada, sarà la Knesset che tra pochi giorni uscirà dalle urne a scegliere il suo successore.
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