Quando il deserto egiziano parla dei monaci cristiani di 1.600 anni fa… Un certo numero di edifici costruiti in basalto, scavati nella roccia, e altri di mattoni sono stati recentemente scoperti, secondo quanto riferisce un comunicato stampa del 13 marzo diffuso dal ministero del Turismo e delle Antichità dell’Egitto. Le celle dei monaci, i muri delle chiese, le iscrizioni greche sono state riportate alla luce – in buono stato di conservazione – da una missione archeologica franco-norvegese, frutto di una collaborazione tra l’Istituto francese di Archeologia Orientale (Ifao) e la Scuola norvegese di Teologia, Religione e Società.
Queste vestigia cristiane si trovano a Tell Ganoub Qasr al-Aguz, nell’oasi di al-Bahariya, 370 chilometri a sud-ovest del Cairo. Il sito fu abitato dal IV all’VIII secolo. La datazione al carbonio nonché il ritrovamento di monete, ceramiche e oggetti in vetro hanno confermato che le prime fondamenta del monastero risalgono intorno al 350 d.C., appena una trentina di anni dopo l’editto di Milano, promulgato dall’imperatore Costantino (306-337 d.C.). L’editto nel 313 legalizzò il cristianesimo nell’Impero Romano consentendo ai suoi fedeli di praticare liberamente il culto. L’Egitto fece parte dell’Impero Romano d’Oriente, cioè del mondo bizantino, fino all’inizio del VII secolo d.C.
Quindi, «già intorno al 350 d.C., cioè in epoca molto antica, esistevano società monastiche ben consolidate ai margini dell’Impero Romano. È qualcosa di cui non eravamo ancora a conoscenza», ha affermato il responsabile degli scavi, Victor Ghica. In effetti, «è forse il più antico sito monastico archeologicamente attestato, non solo in Egitto, ma nel mondo», annuncia un comunicato dell’istituzione accademica norvegese a cui lo studioso appartiene. Ghica spiega che i siti archeologici d’epoca romana più vicini distano fra i 2,4 e i 3,8 chilometri, il che rendeva il monastero un po’ isolato, a conferma della scelta di vita degli anacoreti.
Nell’insieme, le scoperte fatte sul luogo permettono di comprendere «la disposizione degli edifici e la formazione delle prime comunità monastiche» in questa regione dell’Egitto, aggiunge con soddisfazione Victor Ghica nel comunicato del ministero egiziano. Il monastero avrebbe conosciuto un probabile apice delle attività intorno al V e VI secolo. La maggior parte delle ceramiche presenti nel sito risalgono a questi due secoli. Sono state inoltre individuate tracce di un’occupazione successiva, databili tra il VII e l’VIII secolo, probabilmente connesse con una rioccupazione pastorale del luogo.
Una laura atipica
Gli scavi proseguono da diversi anni: due campagne si sono svolte nel 2009 e nel 2013 e l’ultima nello scorso dicembre. Come spiega Osama Talaat, capo del settore delle Antichità islamiche, copte ed ebraiche presso il ministero egiziano competente, «il monastero è composto di sei settori comprendenti i resti di tre chiese e di celle dei monaci». L’area studiata nell’ultima campagna ha rivelato che le pareti di una delle chiese sono ricoperte di testi religiosi scritti in greco e che forniscono dettagli della vita monastica. Alcuni testi sono citazioni del monaco Evagrio Pontico (345-399) che, vivendo nel deserto egiziano, fu il primo a codificare il pensiero ascetico cristiano. Altri scritti sono del teologo e poeta Efrem il Siro (306-373).
La disposizione degli edifici in ciascuno dei sei settori del sito, nonché le tecniche di costruzione impiegate (tutte comprendenti ambienti per cucine e alloggi), indicano che Qasr al-Aguz «funzionava come una laura atipica, cioè come un insediamento monastico semi-indipendente composto da blocchi di spazi abitativi per i monaci. Di solito, in una tale struttura monastica, i monaci vivevano da eremiti durante la settimana. Solo il sabato sera, la domenica e nei giorni di festa si riunivano per cantare le preghiere liturgiche e consumare insieme i pasti.
Una lettera al padre abate su un frammento di ceramica
Sono stati trovati anche numerosi ostraca greci, frammenti di ceramica, risalenti principalmente al V e VI secolo d.C. Uno di questi, senza una data precisa, è una lettera indirizzata al padre abate del monastero. Lo stesso è menzionato in un altro ostracon che era stato trovato da un archeologo egiziano negli anni Quaranta. La lettera in questione indica che un religioso del monastero era in viaggio di studio a Costantinopoli, a ben 1.400 chilometri di distanza. Il monastero era quindi collegato con il mondo e i monaci potevano viaggiare molto lontano…
Come fa notare ancora una volta il professor Ghica, intervistato dalla tivù pubblica norvegese, i monaci del monastero non conducevano una vita spartana. Gli scavi mostrano che erano circondati da prodotti che lui definisce molto «esclusivi», come vetro proveniente delle odierne Tunisia e Algeria, due aree geografiche assai remote. «Erano oggetti davvero costosi che non ti aspetteresti di vedere in un monastero. Abbiamo anche trovato lampade a olio di vetro quasi intatte», racconta l’archeologo.
Gli scavi effettuati nel sito nel 2009 e 2013 avevano portato alla luce le attività dei monaci, in particolare la produzione e la conservazione del vino, nonché l’allevamento di bestiame in contesto monastico o, ancora, i contatti commerciali che i monaci intrattenevano con varie regioni dell’Impero bizantino.
Nonostante il suo grande valore culturale e storico, il monastero non sarà mai un’attrazione per turisti o altri studiosi. Infatti, è quasi impossibile conservarlo all’aria aperta esposto a piogge e venti. Sarà quindi coperto di nuovo in qualche modo, quando i ricercatori avranno terminato di raccogliere la documentazione.
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