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Come si insegna il cristianesimo in Israele?

Cécile Lemoine
8 marzo 2021
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Come si insegna il cristianesimo in Israele?
Un giovane studente alla scuola Orot Etzion, nell’insediamento ebraico di Efrat, in Cisgiordania. (foto Gershon Elinson / Flash90)

Il 78 per cento degli ebrei che vivono in Israele sono nati nel Paese. Cosa sanno del cristianesimo e dell'ebreo più famoso al mondo: Gesù? Tre ricercatrici israeliane hanno affrontato la questione dell’insegnamento del cristianesimo nelle scuole israeliane.


Per la prima volta da duemila anni, gli ebrei in Israele possono vivere la loro religione come un fatto maggioritario, possono viverlo cioè senza dover fare riferimento al cristianesimo. Dato che il 78 per cento degli ebrei che vivono nello Stato ebraico sono nati nel Paese, che cosa sanno i giovani israeliani della religione cristiana? «Non molto», è la recente conclusione di una indagine di tre ricercatrici della Open University di Israele, dal titolo Jesus Was a Jew (Gesù era ebreo. Presentazione dei cristiani e del cristianesimo nella pubblica istruzione israeliana) e il cui obiettivo era capire come il cristianesimo è insegnato nelle scuole del Paese.

Le storie costruite e insegnate a scuola rivelano la mentalità di un intero popolo e perciò meritano un’analisi. Orit Ramon, Ines Gabel e Varda Wassermann hanno quindi sezionato i libri di testo delle scuole pubbliche e religiose sioniste, decifrando gli atteggiamenti degli insegnanti.

>>> Leggi anche Violenza e religioni. Una riflessione tra ebrei e cattolici

«Gli israeliani conoscono poco o molto male il cristianesimo», lamenta Orit Ramon. Innanzitutto, è insegnato poco e quando lo è, avviene attraverso i libri di storia e non delle religioni. «Si tratta di un dettaglio importante – spiega la ricercatrice – poiché la storia viene letta da un punto di vista ebraico e delle persecuzioni subite». Si evidenzia costantemente la responsabilità dei cristiani nell’organizzazione dell’Olocausto. «Alimenta l’idea che i cristiani siano i nemici, e contemporaneamente rafforza l’identità nazionale ebraica. Come in ogni Paese in guerra, la verità viene sacrificata sull’altare del nazionalismo», lamenta David Neuhaus, superiore dei gesuiti di Terra Santa e direttore del Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme. Nato in una famiglia ebrea e ordinato sacerdote nel 2000, padre Neuhaus lavora da allora per creare ponti tra ebrei e cristiani.

Rifiuto di tutto ciò che non è ebraico

Il cristianesimo non viene mai affrontato nella sua diversità. La Chiesa cattolica è l’unico riferimento utilizzato per parlare di cristiani. Restano fuori protestanti, ortodossi e tutta la complessità di questa religione, associata in alcune scuole religiose sioniste a stereotipi negativi. Il cristianesimo sarebbe una «religione inferiore, fondata sull’idolatria e il furto delle Scritture», osserva padre David Neuhaus.

Un altro aspetto rilevato dai ricercatori è quello del disprezzo religioso. La frase «Gesù era un ebreo», ricorrente nei libri di testo, illustra bene questa idea. «L’affermazione legittima la presenza ebraica sul suolo israeliano e allo stesso tempo minimizza la religione cristiana», osservaa Ramon. Anche il nome di Gesù viene storpiato. È chiamato sistematicamente Yeshu e non Yeshua o Yehoshua, come vorrebbe la traduzione ebraica del nome greco usato nel Nuovo Testamento. «Questo acronimo è sprezzante, perché in ebraico significa “che il suo nome e la sua memoria siano cancellati” – spiega padre Neuhaus, che aggiunge –: oggi, la stragrande maggioranza degli ebrei non praticanti non sa che la parola Yeshu è un insulto».

Per i ricercatori, questo modo di presentare la religione cristiana a scuola è problematico: «I giovani svilupperanno un atteggiamento del tutto incompleto verso gli altri e verso la differenza. Crescendo, rifiuteranno tutto ciò che non è ebraico», osserva Ramon. David Neuhaus, da parte sua, sottolinea che è una visione «in contrasto con la realtà dello Stato di Israele oggi, un Paese in cui la comunità cristiana è molto piccola e priva di potere». Oggi in Israele ci sono 180mila cristiani, appena il 2 per cento della popolazione. La maggior parte sono arabi cristiani che hanno le proprie scuole.

Tuttavia, nulla è scolpito nella pietra. L’insegnamento del cristianesimo risente degli eventi che riguardano Israele. «Negli anni Novanta i libri di testo hanno espresso più rispetto e aderenza ai fatti, forse grazie al movimento di apertura seguito alla firma degli accordi di Oslo. Questo è terminato con la seconda intifada a partire dal 2000 – spiega Ramon, che vuole però mettere in luce un elemento positivo –: se da un lato sono in pochi ad affrontare il tema del cristianesimo, quelli che lo fanno sono insegnanti con un certo senso della missione. Lo vedono come un modo per ampliare gli orizzonti e le menti dei loro studenti, per formarli al multiculturalismo».


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