(c.l.) – «Ecco a voi il più grande e completo museo ebraico del mondo!» proclama da una decina giorni a questa parte il suo sito internet. Dopo dieci anni di ristrutturazione, costata l’equivalente di 100 milioni di dollari – 18 dei quali stanziati dal governo israeliano –, il Museo Casa della diaspora ( Beit Hatfutsot ), creato nel 1978 nel campus dell’Università di Tel Aviv, torna trasformato sulla scena culturale israeliana. Anche il nome è cambiato in Museo del popolo ebraico-ANU (anù – אָנוּ – significa «noi» in ebraico).
«Abbiamo scelto ANU dopo aver considerato un centinaio di alternative. Crediamo che il nuovo nome sia inclusivo e unificante e rifletta bene i valori del museo», ha detto al quotidiano Haaretz l’amministratore delegato dell’istituzione culturale, Dan Tadmor.
La missione del museo è quella di raccontare quattromila anni di storia del popolo ebraico fino ai giorni nostri e di rappresentare «tutte le componenti del giudaismo» d’ogni parte del mondo. L’idea di fondo è di «nutrire il senso di appartenenza tra i visitatori ebrei e rafforzare l’identità ebraica», si legge nel sito web del museo. «Vogliamo che le persone qui possano ritrovarsi, che possano riconoscersi nelle vite che vedono qui ricordate», ha detto al giornale digitale The Times of Israel la curatrice capo Orit Shaham-Gover.
Nello stesso giornale, Dan Tadmor spiega che un gruppo di 50 consulenti accademici, conservatori ed esperti sono stati coinvolti nella creazione di questo nuovo museo in modo tale da garantire che tutti i sessi, le etnie e le correnti religiose siano rappresentati correttamente. Il quotidiano osserva che «il museo evita di affrontare questioni politiche particolarmente spinose, come l’interrogativo su chi sia ebreo».
Quattro aree tematiche
Lo spazio espositivo museale è triplicato, rispetto all’allestimento precedente. Si arriva a quasi 7.000 metri quadrati distribuiti su tre piani e divisi in quattro parti, così da «mettere in luce le opere creative e le ricchezze culturali di una varietà di comunità nelle diverse fasi della Storia», spiega in Rete l’introduzione ufficiale al museo.
La prima ala si intitola Il Mosaico, a significare l’«incredibile diversità di espressioni dell’identità e della cultura ebraica». Una varietà che si esprime «nel folklore e nelle arti, nella lingua e la letteratura, nelle diverse denominazioni del giudaismo e nel contributo ebraico all’umanità». La seconda ala – Il viaggio – è dedicata alla storia. «Ci sono capitoli di crescita, prosperità e dialogo culturale, così come periodi di pogrom e persecuzioni».
I fondamenti sono illustrati nella terza ala che spiega «le basi ideologiche su cui l’esistenza ebraica è stata costruita nel corso degli anni». Ci sono i fondamenti che hanno «una dimensione ebraica tipica» (lo Shabbat, l’alleanza, il ciclo dell’anno…) e altri che portano in sé «una dimensione generale-universale» come «la Bibbia e il suo impatto sulle culture di tutto il mondo». L’ultima ala è intitolata Alleluia! Espone 21 modelli di sinagoghe che raffigurano diversi elementi della vita ebraica: eventi sociali, studio, culto, matrimonio, bar/bat mitzvah (il rito religioso che segna l’ingresso dei bambini nell’età adulta – ndr), iniziative di beneficenza.
Deposti i panni delle vittime
Al quotidiano The Jerusalem Post Orit Shaham-Gover ha spiegato che nei confronti della storia ebraica il museo ha un atteggiamento completamente diverso rispetto a musei precedenti. «Abbiamo deciso di rinunciare alla posizione di vittima», ha detto. «Quando guardiamo alla storia ebraica, vediamo molta ingegnosità, creatività, dialogo culturale e prosperità. Vediamo sì anche atrocità, ma attribuiamo loro un equilibrio diverso». L’Olocausto, ad esempio, ottiene una rappresentazione minimale – in un solo spazio con un’opera dell’artista Gustav Metzger che utilizza l’iconica fotografia Arresto nel ghetto di Varsavia sopra un cumulo di macerie, fa osservare Haaretz.
Le vecchie gallerie, che presentavano diorami e modelli in scala del 1978, sono state sostituite da mostre caratterizzate da una tecnologia innovativa e all’avanguardia, con schermi tattili interattivi. Manufatti dell’antichità, oggetti quotidiani o cerimoniali del passato e di oggi, affiancano foto, una cinquantina di film, 25 mostre interattive. Gli schermi consentono ai visitatori di incontrare virtualmente famiglie ebree di vari Paesi o di «cucinare» con famosi chef ebrei.
È possibile pure ascoltare brani musicali i più vari: dalle ninne nanne cantate in diverse lingue alle canzoni ebraiche del mondo arabo. Le collezioni contengono oggetti unici come la macchina per scrivere del vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1978 Isaac Bashevis Singer (1902-1991), scrittore ebreo polacco, naturalizzato statunitense, autore di romanzi in yiddish. Tra gli altri oggetti esposti c’è la chitarra utilizzata da Leonard Cohen (1934-2016) durante il suo ultimo concerto in Israele. Non lontano, un esemplare del biblico Libro di Ester ( Megillat Esther ) appartenuto ad una famiglia espulsa dalla Spagna nel XV secolo, prima dell’Inquisizione.
Tutto, insomma, punta a dar suono e colore alla vita ebraica nel senso più ampio possibile.