I giudici della Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aia hanno deciso. Riconoscendo, venerdì 5 febbraio, che la giurisdizione della Corte penale internazionale si estende alla Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est, consentono alla procuratrice Fatou Bensouda di indagare sui crimini commessi in questi territori occupati da Israele.
Fatou Bensouda aveva annunciato alla fine del 2019 il suo desiderio di aprire un’indagine poiché, secondo le ricerche da lei condotte negli ultimi cinque anni, esistevano «ragionevoli motivi per ritenere che siano stati commessi crimini di guerra» in questi territori dall’esercito israeliano e dal gruppo terroristico Hamas, nonché da altri «gruppi armati palestinesi».
Interrogandosi sulla competenza territoriale della Cpi, ha rimandato la questione ai giudici. Un modo per condividere il peso di una delle questioni più delicate della Corte. L’istituzione può ora perseguire legalmente i responsabili di crimini commessi in Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza. La Corte ha chiarito che con la sua decisione «non si è pronunciata su una controversia di confini ai sensi del diritto internazionale, né pregiudica la questione di eventuali confini futuri», ma ha «l’unico obiettivo di definire la propria giurisdizione territoriale».
Rabbia, preoccupazione e gioia
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è affrettato a rispondere, sostenendo che la decisione rivela un «accanimento giudiziario». «Il tribunale ha dimostrato ancora una volta di essere un organo politico e non un’istituzione giudiziaria», ha aggiunto. Denuncia un «puro antisemitismo» e sottolinea il rifiuto della Cpi «di indagare sulle brutali dittature in Iran e Siria, che commettono atrocità quasi ogni giorno».
Gli Stati Uniti, alleati dello Stato ebraico, sono sorpresi da questa decisione. «Siamo sempre stati dell’opinione che la giurisdizione della Corte dovrebbe essere riservata ai Paesi che acconsentono o che sono deferiti dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite», ha precisato il Dipartimento di Stato. «Continueremo a opporci a coloro che cercano di prendere di mira ingiustamente Israele», ha twittato il suo portavoce, Ned Price.
Il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh l’ha invece salutata come una «vittoria per la giustizia». «Questa decisione è una vittoria per la giustizia e l’umanità, per i valori di verità, equità e libertà, e per il sangue delle vittime e delle loro famiglie», ha detto all’agenzia ufficiale palestinese Wafa.
Come gli Stati Uniti, Israele non è membro della Corte penale internazionale. L’Autorità palestinese vi ha aderito nel 2015, anche se la Palestina non è membro dell’Onu, ma dal 2012 è considerata Paese osservatore. La Corte (istituita nel 2002 e cui aderiscono 123 Paesi) è destinata a fungere da tribunale di ultima istanza quando i sistemi giudiziari dei Paesi non sono in grado o non vogliono indagare sui crimini di guerra e perseguire i loro autori.
L’esercito israeliano e Hamas nel mirino
Secondo la procuratrice, la guerra del 2014 scoppiata nella Striscia di Gaza ha provocato più di mille morti, per lo più civili palestinesi. Israele all’epoca impegnò le sue truppe nell’operazione «Margine di protezione» per contrastare le attività di Hamas, il movimento nazionalista islamico che controlla questo piccolo pezzo di territorio sovraffollato. Secondo Fatou Bensouda, «le Forze di difesa israeliane hanno lanciato intenzionalmente attacchi sproporzionati» in diverse occasioni durante l’estate 2014, così come durante la «Marcia del ritorno» nel marzo 2018.
Tuttavia, il pubblico ministero non scagiona Hamas, che avrebbe «diretto intenzionalmente attacchi contro persone e beni civili utilizzando scudi umani e ricorrendo alla tortura».
Spetta ora a Fatou Bensouda decidere sull’apertura delle indagini. Sulla base della sua decisione del 2019, dovrebbe farlo. Tuttavia, il suo mandato come procuratore scadrà il prossimo giugno e alcuni funzionari israeliani ritengono che gli orientamenti del suo successore, che non è stato ancora eletto, possano essere diversi.