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Tra Israele e Palestina frammenti di pace al volante

Giulia Ceccutti
14 gennaio 2021
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I volontari dell'organizzazione israeliana Una strada per la guarigione trasportano gratuitamente, con le proprie auto, pazienti palestinesi bisognosi di cure agli ospedali di Gerusalemme, Haifa, Tel Aviv. Ecco la loro storia.


«Cerchiamo volontari. A causa del Covid-19 il numero di quanti ci aiutano è drasticamente diminuito, mentre le richieste di assistenza cui non riusciamo a rispondere crescono di giorno in giorno. Tutte le nostre attività si svolgono su base volontaria. Se richiesto, è previsto un rimborso per le spese di benzina».

È questo il cuore dell’appello – diffuso nelle reti sociali e grazie ad altre associazioni che lavorano per il dialogo – lanciato da poco in Israele da The Road to Recovery (La strada per la guarigione, in ebraico Ba’derech L’Hachlama), organizzazione composta da volontari ebrei che trasportano con le loro auto malati palestinesi, perlopiù bambini, dai Territori occupati e dalla Striscia di Gaza agli ospedali israeliani.

Dai checkpoint, andata e ritorno

Incontrano le persone bisognose di cure – spesso salvavita – ai check-point, le portano fino agli ospedali e poi di nuovo ai posti di blocco che separano il suolo israeliano dalle aree palestinesi. Parliamo di almeno cento malati al giorno, prima che arrivasse il coronavirus.

Per molte famiglie palestinesi è un servizio vitale. Il costo di un taxi è proibitivo, soprattutto per i pazienti con una malattia cronica che richiede visite ripetute. In alcuni casi, la spesa per un viaggio equivale al salario di un giorno.

«Nel 2020 avevamo circa 1.600 volontari, attivi in tutto Israele. Al momento, a causa del Covid-19, possiamo contare su poco più di un centinaio persone soltanto», spiega con tono calmo il fondatore Yuval Roth al telefono da Pardes Hanna-Karfur, nel nord del Paese, dove vive. «La maggior parte dei nostri volontari ha sessant’anni, dunque resta a casa perché rientra tra le categorie a rischio per il virus. Stiamo quindi cercando di rivolgerci ai giovani, per coinvolgerli».

Trasformare il dolore

Nel corso della telefonata si percepisce che, dall’altra parte, c’è un uomo che ha dato vita a qualcosa di grande. Quasi per caso.

Nel 1993 Roth perse un fratello, riservista, rapito e assassinato da membri di Hamas. In seguito a questo dramma, si unì ai membri di Parents Circle – Families Forum, l’organizzazione congiunta israelo-palestinese di famiglie in lutto di cui Terrasanta.net ha già riferito più volte in passato (ad esempio, qui). Yuval riuscì a trasformare il proprio dolore nel riconoscimento del dolore dell’altro. E in un messaggio di riconciliazione.

Nel 2006, un membro palestinese di Parents Circle gli chiese un favore: accompagnare il fratello all’Ospedale Rambam, di Haifa. «Accettai – ricorda – e da quel momento le richieste sono state sempre più numerose, fino a quando mi sono reso conto che non potevo gestirle tutte da solo e che avrei dovuto chiedere aiuto. All’inizio mi rivolsi a cerchie ristrette di conoscenti, in seguito alle reti sociali».

Così nel 2010, quattro anni dopo, è nata ufficialmente The Road to Recovery. Per aver creato questa realtà, a Yuval Roth – insieme al palestinese Naeem Al-Bayda, uno dei più validi aiuti dell’associazione nei Territori occupati – nel 2019 è stato assegnato il Premio Victor J. Goldberg per la pace in Medio Oriente.

Schegge di pace

«Non si tratta solo di aiutare le persone. È molto più di questo», sostiene Yuval. «Ciò che avviene durante questi viaggi in macchina è l’opportunità concreta di incontrare l’altro. Un incontro da persona a persona, al di là dell’appartenenza di popolo, politica, religiosa. Semplicemente, uno scambio tra esseri umani». Oltre tutte le barriere.

«Per i palestinesi – continua – gli israeliani sono solo i soldati ai checkpoint. Per gli ebrei, i palestinesi sono solo nemici che ci vogliono uccidere». Ogni viaggio allora è un’occasione per creare «un piccolo pezzo di pace», conclude.

Una rete da nord a sud d’Israele

Il lavoro dell’organizzazione si regge su una rete di persone e realtà che, a catena, fungono da tramite. In Cisgiordania vi sono alcuni coordinatori che raccolgono i casi da aiutare, mentre per la Striscia di Gaza il riferimento principale è l’ong Basmat el Amal (Un sorriso di speranza).

The Road to Recovery collabora inoltre con altre organizzazioni attive in Israele, come Medici per i diritti umani e Rabbini per i diritti umani.

I punti d’incontro, come dicevamo, sono sempre i check-point: da quello di Gilboa, il più a nord, al valico di Erez, a sud, dal quale si accede alla Striscia di Gaza.

Gli ospedali coinvolti si trovano ad Haifa, Tel Aviv e Gerusalemme. «La maggioranza dei pazienti che provengono da Gaza – precisa Yuval – è curata nella parte araba di Gerusalemme Est, presso l’Ospedale [luterano] Augusta Victoria e l’Ospedale Makassed. Gli altri invece nella parte ebraica della città, all’ospedale Hadassah di Gerusalemme ovest».

Stabilire relazioni

Tra le attività incluse nel progetto vanno citati infine l’acquisto di dispositivi medici per le famiglie in difficoltà e giornate di vacanza e momenti di ritrovo per i familiari dei malati.

«Nei nostri viaggi incontriamo sempre solo una parte della famiglia: il paziente accompagnato in genere da un genitore», racconta Yuval. «Queste giornate – spesso al mare, perché per tutta la vita molti palestinesi non possono nemmeno vederlo – rappresentano quindi un modo per conoscere meglio il resto della famiglia e per stabilire una relazione più profonda». Poi aggiunge: «Siamo molto felici di organizzare momenti di questo tipo». E dalle foto che sceglie di inviarci è evidente che si tratta di una gioia condivisa. Oltre le barriere.

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