Dopo avere combattuto per mesi (se non anni) senza trovare una via d’uscita alla loro crisi politica interna – quella della divisione del loro movimento nazionale in due campi polarizzati dal 2007 tra Fatah, che controlla la Cisgiordania, e Hamas, predominante nella Striscia di Gaza – i palestinesi hanno finalmente pubblicato un calendario elettorale lo scorso 15 gennaio. Prevede che le elezioni legislative si tengano il 22 maggio e le elezioni presidenziali il 31 luglio.
È la sorpresa all’inizio di quest’anno, poiché le discussioni si sono trascinate per diversi mesi, e hanno poi fatto qualche progresso dopo l’autunno. Il 3 settembre, i segretari generali delle fazioni palestinesi si sono riuniti in videoconferenza, convocati del presidente palestinese Mahmoud Abbas. L’incontro, in cui sono risuonate le differenze sostanziali tra le diverse fazioni politiche nonostante le formule di fratellanza, avevo lo scopo di trovare una visione comune per affrontare il piano dell’ex presidente degli Usa, Donald Trump, per il Medio Oriente. Le fazioni contrarie alle politiche di Abbas avevano ancora una volta segnalato il loro scetticismo sulla possibilità di mettere in atto il processo di pace, così come sugli accordi firmati con Israele. Da parte sua, Abbas ha ribadito il suo attaccamento a una soluzione negoziata del conflitto, nel quadro della mediazione internazionale. Alla fine di questo incontro, tutti i rappresentanti delle forze politiche palestinesi, compreso lo stesso Abbas, hanno mostrato un fronte unito contro il piano Trump e tutti hanno firmato il comunicato finale, riaffermando che la Palestina sta continuando il processo di liberazione nazionale e che il compito principale dei palestinesi è porre fine all’occupazione israeliana. Concordando sull’urgente necessità di riconquistare l’unità nazionale, hanno insistito sulla necessità di nuove elezioni parlamentari e presidenziali.
I rappresentanti di Fatah e Hamas, in un nuovo incontro che si è svolto alla fine di settembre in Turchia, hanno convenuto di organizzare le elezioni entro sei mesi. Tuttavia, non era stato menzionato alcun calendario al punto da chiedersi se queste elezioni avrebbero potuto svolgersi con Abu Mazen in vita.
La successione di Abbas
Questo non è il primo tentativo palestinese di superare le divisioni interne. Da quando è iniziato il conflitto interno nel 2007, gli stessi leader si sono riuniti ogni anno per cercare di porre fine alle loro divergenze, firmando una serie di accordi. Nel giugno 2014 è stato formato un nuovo governo palestinese di tecnocrati, per la prima volta dal 2007, per Gaza e la Cisgiordania. I palestinesi ora hanno, in teoria, un governo unico. Tuttavia, in pratica, la gestione dei ministeri rimane divisa, perché i ministeri di Ramallah non hanno una vera autorità su Gaza. Una realtà che può essere superata solo dall’elezione di una nuova leadership, riconosciuta da tutti. La successione del presidente Abbas è quindi una questione in sé.
A 85 anni di età, Abbas non ha successori e la prospettiva del caos allarma tutta la classe politica. Per legge, il presidente del Consiglio legislativo dovrebbe assumere la carica di presidente nel caso in cui diventi vacante, fino a quando non si terranno nuove elezioni. Il presidente del Consiglio legislativo, eletto nel 2006, era Aziz Dweik, membro di Hamas, ma Abbas sciolse il Consiglio legislativo nel 2007, quando si verificò la rottura tra i due campi.
Se un nuovo presidente e un nuovo consiglio legislativo non vengono eletti mentre Abbas è ancora in vita, il processo legale della sua successione viene interrotto e potrebbe cadere in balia dei capi degli apparati di sicurezza, in lizza per la carica di presidente.
L’emergenza nella Striscia di Gaza
Tuttavia, è la situazione nella Striscia di Gaza che rappresenta la principale emergenza. Nel settembre 2018 un rapporto delle Nazioni Unite ha indicato che l’enclave palestinese sarebbe diventata inabitabile nel 2020, a causa del blocco israeliano. Il mese successivo, il relatore speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori palestinesi, Michael Lynk, ha dichiarato che Gaza è già inabitabile. Il blocco israeliano, imposto dal 2007, lascia la Striscia nella completa indigenza, provocando una crisi umanitaria, aggravata dalle ripetute operazioni militari israeliane. Secondo le Nazioni Unite, il 95 per cento dell’acqua consumata a Gaza è inquinata, l’80 per cento delle famiglie dipende dagli aiuti umanitari, l’unica centrale elettrica funziona solo otto ore al giorno, la povertà estrema colpisce metà della popolazione e la disoccupazione giovanile supera il 70 per cento.
Il blocco israeliano continua, senza opposizione politica da parte della comunità internazionale, con il pretesto che Hamas governa il territorio. La leadership palestinese sa che finché sarà divisa, non potrà combattere il blocco di Gaza. Ciò non significa che le elezioni palestinesi porranno fine al blocco, perché alla fine è Israele a imporlo. Eppure, la Palestina si è dichiarata uno Stato nel 2011 e questo Stato è stato riconosciuto dalla maggior parte dei Paesi del mondo. Israele, quindi non sta ufficialmente bloccando un’enclave ribelle, ma parte del territorio della Palestina. Tuttavia, i dirigenti palestinesi non possono sostenere con coerenza questo argomento se non c’è una leadership per tutto il territorio palestinese, inclusa Gaza. Questo dovrebbe anche facilitare l’assistenza umanitaria e la ricostruzione del territorio, sotto una dirigenza palestinese unificata. Tuttavia, nonostante l’urgenza politica e umanitaria riconosciuta da tutti i partiti palestinesi, organizzare elezioni e porre fine alla divisione interna si è rivelato molto difficile. L’annuncio di un calendario non è una garanzia che le elezioni si terranno.
Il prezzo della promessa americana
Se Abbas ha finalmente emesso il decreto sul calendario, è perché conta su un cambio di amministrazione a Washington. Durante il mandato di Trump, Abbas e la Palestina sono stati abbandonati dall’amministrazione statunitense, che ha condotto un monologo con Benjamin Netanyahu e Israele a beneficio esclusivo dello Stato ebraico. Ma il nuovo presidente degli Usa, Joe Biden, arriva con la promessa di riprendere la tradizionale politica statunitense, che prevede la gestione del conflitto israelo-palestinese e il rilancio dell’interminabile processo di pace.
Per Abbas e la sua dirigenza, questo può rappresentare un’opportunità per tornare al tavolo delle trattative come attore principale. Ciò potrebbe anche portare al rilancio dell’assistenza finanziaria statunitense al governo palestinese, sospesa da Trump nel 2016. Questa promessa avrà un prezzo, e quel prezzo potrebbe essere la riconciliazione interpalestinese con Hamas. La fine del regno di Trump ha aperto una nuova finestra per il ritorno della Palestina in primo piano nella politica internazionale americana.
Il calendario non è tutto
Indipendentemente dai calcoli dei governanti, nessuno può prevedere le scelte degli stessi palestinesi al momento del voto. Durante il decennio appena concluso è cresciuta un’intera generazione di palestinesi. La metà degli abitanti di Gaza ha meno di 18 anni, hanno conosciuto tre guerre e non hanno mai lasciato la Striscia. In Cisgiordania, i minori di 18 anni – ovvero il 42 per cento della popolazione – sono cresciuti in un contesto quotidiano di arresti, demolizioni di case e colonizzazione della terra, dietro un muro di cemento. Pensando a loro, per cosa voteranno i loro genitori? A questi si devono aggiungere i milioni di palestinesi in esilio che dovrebbero poter partecipare al voto.
Se le elezioni possono legittimare i dirigenti che sono oggi al comando, gli elettori non vorranno rimescolare completamente le carte? Chi garantirà che la campagna si svolga da un capo all’altro del territorio per tutti i candidati? Chi garantirà il rispetto dei risultati? Le elezioni palestinesi si terranno forse con grande ritardo, ma molte questioni pesano sul loro svolgimento e sui risultati.