Israele è ormai a un mese dall’inizio della massiccia campagna vaccinale contro il Covid-19 ed è il primo Paese al mondo per numero di somministrazioni: al 18 gennaio 2 milioni e 200mila persone hanno ricevuto la prima dose e oltre 400mila anche la seconda.
Uno dei problemi più complessi da fronteggiare, per le autorità israeliane, è quello della componente ebraica ultraortodossa. I dati del ministero della Salute israeliano, infatti, mostrano che la percentuale di haredi ultrasessantenni che hanno ricevuto la prima dose del vaccino è del 20 per cento, di gran lunga inferiore rispetto alla popolazione generale.
Sin dal marzo 2020 il governo israeliano ha avuto difficoltà ad arginare i contagi all’interno della comunità ultraortodossa per una serie di concause: prima tra tutte la disinformazione dei suoi membri. I media familiari al resto dei connazionali non penetrano in questa fetta di popolazione: tivù e internet collidono con i precetti religiosi.
Refrattari e scettici
Oltre a ciò, fin dai primi contagi, i capi religiosi degli ebrei ultraortodossi hanno opposto una strenua resistenza alle restrizioni imposte dal governo. Secondo il principale sito web di informazioni israeliano YnetNews «i leader religiosi a marzo, quando il virus era nel pieno della sua diffusione, hanno ordinato ai loro seguaci di ignorare gli sforzi di contenimento del virus da parte del governo, comprese le precauzioni richieste a chi era appena rientrato dall’estero, imponendo a tutti di frequentare la sinagoga nonostante il ministero della Salute richiedesse di seguire un periodo di quarantena».
In quella prima fase le pressioni del primo ministro Benjamin Netanyahu hanno indotto l’allora ministro della Salute Yaakov Litzman – alla testa del partito Giudaismo unito nella Torah – a introdurre limitazioni alle riunioni di preghiera in luoghi chiusi. Lo stesso Litzman, però, dopo aver contratto il virus in aprile, è stato criticato per non aver rispettato le direttive da lui stesso emanate.
Secondo The Times of Israel, Yaakov non è stato il solo a dare il cattivo esempio e anche se in Israele sono stati imposti diversi lockdown, gli haredi hanno continuato a riunirsi per affollate cerimonie nuziali, funerali e altre funzioni religiose. Eclatante il caso di Yissachar Dov Rokeach, rabbino molto seguito in Israele e all’estero, che in agosto a Gerusalemme ha partecipato alla festa di nozze di un nipote, con migliaia di persone presenti senza mascherina e senza rispettare alcuna regola di distanziamento. La percentuale di contagiati è stata altissima.
Bufale in circolo
In queste comunità hanno preso a circolare fake news in gran numero. Chaim Greidinger, un consulente che nel marzo 2020 lavorava per il ministero della Salute, ha dichiarato: «Quando la pandemia era ormai forte in tutto il mondo, ha iniziato a diffondersi la voce che aglio e grani di incenso potessero curare il Covid-19. In molti la ritenevano una cura realmente in grado di salvare vite umane».
Erez Garty, direttore del dipartimento Comunicazione della scienza presso l’Istituto Davidson per l’istruzione scientifica, di Rehovot, durante una conferenza stampa ha affermato che in aggiunta alle voci circa presunti rimedi naturali, hanno iniziato a diffondersi ampiamente teorie complottiste: «In particolare l’idea che il coronavirus sia causato dalla rete cellulare 5G e che il vaccino provochi effetti collaterali debilitanti. A diffondere queste notizie erano i rabbini stessi. È stato intercettato un opuscolo scritto da un famoso leader ultraortodosso, che non solo metteva in guardia dal vaccinarsi, ma aggiungeva che i vaccini fanno parte di un complotto del governo per causare infertilità, al fine di spazzare via la comunità haredi».
Numerosi contagi
La diffusione del virus nella comunità ultraortodossa è ancor oggi notevole. Giusto un esempio: gli israeliani haredi erano il 34 per cento di tutte le persone risultate positive nei test per il coronavirus condotti l’11 gennaio. E ciò nonostante siano circa il 10 per cento della popolazione complessiva.
Contrastare disinformazione e fake news in queste comunità è un lavoro complesso. Ad occuparsene è un centro informazioni del ministero della Salute che si indirizza espressamente alla comunità ultraortodossa.
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