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Aggrappati a una «presenza»

frate Francesco Ielpo ofm
20 gennaio 2021
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Aggrappati a una «presenza»
Smirne (Turchia), 2 novembre 2020: la piccola Elif Perinçek stringe la mano del suo soccorritore, dopo tre giorni trascorsi sotto le macerie.

Dopo un anno segnato dalla paura dell’ignoto, l’ansia per un futuro imprevedibile si calma sperimentando la vicinanza di Dio. Gesù è vivo e presente e i cristiani si stringono a lui, come la piccola Elif al suo soccorritore.


Nel suo ultimo rapporto, il Censis parla del 2020 come l’anno della «paura nera». È questa l’etichetta che l’istituto di ricerca sceglie, dopo avere rilevato che oltre il 73 per cento degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento al momento prevalente.

«Paura nera» deve aver provato la piccola Elif Perinçek, una bimba di appena tre anni estratta viva dalle macerie nella sua casa di Smirne a 65 ore dal sisma che ha colpito lo scorso 30 ottobre la costa del mar Egeo. La foto, scattata durante le operazioni di estrazione, immortala al centro un vigile del fuoco con la mano aperta e la piccola Elif che stringe forte il pollice del suo soccorritore.

«Quando ho allungato la mia mano, lei l’ha presa e non l’ha più lasciata finché non l’ho portata nella tenda dei soccorsi», ha raccontato Muammer Çelik, il vigile del fuoco che è riuscito a individuarla tra i calcinacci e a salvarla.

Lo scatto sembra un quadro: intorno soccorritori che si agitano, volti agitati, preoccupati e tristi.

Al centro, tra mascherina e casco, lo sguardo deciso di Muammer che fissa un punto lontano. Accanto, la piccola Elif avvolta nella coperta isotermica color oro da cui si innalza, in contrasto, un braccino tutto bianco di polvere che termina con un pugno chiuso ad afferrare il pollice del «salvatore». La «paura nera» che per ben 65 ore ha paralizzato la piccola Elif è stata vinta da una mano che si è fatta strada tra le macerie, segno concreto della presenza di un altro. Segno tangibile e afferrabile, che strappa dalla solitudine e riaccende la speranza. La bimba aveva bisogno di essere lavata, medicata, nutrita. Ma ancor prima, di quel pollice a cui potersi aggrappare.

«Paura nera» ha provato anche una mia amica qualche giorno fa durante una forte e improvvisa nevicata. Stava rientrando a casa in auto, con il figlio minore di tredici anni e il nipotino di appena nove mesi, quando la chiusura dell’autostrada ha costretto tutti a deviare percorso. Strada in discesa, camion ribaltati a bordo della carreggiata, alberi caduti sotto il peso della neve fresca e traffico bloccato da un autocarro capovolto alla rotonda in fondo al rettilineo. Nessuna possibilità di andare avanti né di tornare indietro.

I soccorsi, tempestivamente chiamati, dicono che non c’è nulla da fare e che bisogna solo pazientare. A bordo dell’auto niente acqua e cibo per il bambino che da lì a poco si sarebbe svegliato. Passano le ore e il panico sale. Cosa fare? Dalle auto in colonna riesce a recuperare una barretta di cracker dolci per placare la fame del piccolino, ma tutto questo non basta per allontanare la paura. Scende il buio e la disperazione si fa strada nell’abitacolo. Ad un certo punto il figlio tredicenne dice: «Mamma non ti preoccupare. Dio è qui con noi. Iniziamo a recitare le preghiere così gli diciamo che sappiamo che Lui è qui con noi». Fino a quel momento la madre, che si concepiva sola, non vedeva vie d’uscita dipendenti dalle sue capacità e possibilità.

Tutto l’orizzonte finiva entro il limite di quello che avrebbe potuto fare. In quell’istante la situazione non è cambiata, ma la paura, la disperazione e l’ansia si sono attenuate perché ha sperimentato la presenza del «Dio vicino» attraverso la certezza di fede del figlio. Ancora una volta la paura è stata vinta da una presenza.

L’evangelista Matteo inizia la sua opera indicando, da subito, chi è Gesù, attraverso una citazione del profeta Isaia: «Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi».

L’espressione «Dio con noi» costituisce un’ampia inclusione con la finale del Vangelo: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Il primo Vangelo, dunque, si svolge all’interno di questa grande certezza: con l’Incarnazione, Dio è con noi, non ci abbandona. Cristo è presente nella sua Chiesa e continua a essere il «Dio con noi». Matteo, poi, ci indica anche i luoghi privilegiati della presenza del Risorto. Innanzitutto nella comunità adunata nel suo nome: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»; negli apostoli missionari: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato»; nei fratelli bisognosi: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».

Il rapporto del Censis citato all’inizio afferma anche che «l’individualismo è stato il miglior alleato del virus»; possiamo concludere che la certezza della presenza di Cristo in mezzo a noi è il miglior vaccino (contro la paura).

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