Se il 2020 non fosse andato come è andato, probabilmente avremmo sentito più volte echeggiare il nome di Chiara Lubich, nel centenario della sua nascita. Invece, come è successo in tanti altri ambiti, la pandemia in corso ha messo la sordina alle iniziative pensate per riaccendere la memoria della fondatrice del Movimento dei Focolari. Anche la lavorazione del film Chiara Lubich – L’amore vince tutto, che Rai1 metterà in onda in prima serata il 3 gennaio 2021, ha subito contraccolpi e ritardi.
Silvia – che solo più tardi assumerà il nome Chiara, in omaggio alla prima discepola di san Francesco d’Assisi – nasce a Trento nel 1920. È la seconda dei quattro figli di Luigi Lubich e Luigia Marinconz: la precede il fratello Gino, che sarà medico, comunista, partigiano contro il nazifascismo e poi giornalista per il quotidiano L’Unità. Dopo di lei arrivano le sorelle Liliana e Carla.
I primi passi a Trento
Decisa sin da ragazza a prendere sul serio il proprio battesimo, Chiara è terziaria francescana e sente forte dentro di sé la chiamata alla perfezione. Più volte avverte nel suo intimo, con un’intensità fortissima, la spinta a «donarsi tutta a Dio».
Lei stessa racconta uno di quegli episodi. Si è ormai diplomata alle magistrali e ha iniziato a insegnare in un paesino della Val di Sole. La mandano a Loreto, a frequentare un corso insieme a molte altre giovani. È il suo primo lungo viaggio fuori città. Nella cittadina marchigiana resta affascinata dalla Santa Casa, i muri di quella che, secondo la tradizione, a Nazaret fu la dimora della famiglia di Gesù, sua madre, la Vergine Maria, e lo sposo san Giuseppe. «Ci andavo da sola, non appena potevo, negli intervalli del corso – racconta Chiara in una testimonianza resa nel 2003 al programma Rai Il mio Novecento –. La casetta era vuota e io mi inginocchiavo, appoggiata ai muri anneriti dalle lampade. Ricordo la grande e fortissima impressione di quel luogo. Pensavo: qui sarà stata Maria e avrà lavorato; qui sarà stato Giuseppe e forse queste travi le ha procurate lui; qui Gesù Bambino andava da un punto all’altro della stanza. Questa idea di quella convivenza di persone, Maria e Giuseppe, con Gesù fra loro, mi dava un’impressione così forte da sentirmi come schiacciata dal divino. Piangevo. Ogni volta che tornavo nella casetta provavo la stessa cosa. L’ultimo giorno del corso la chiesa era piena di ragazze con il velo. Io stavo in fondo ed ebbi la chiara percezione interiore che mi diceva: “Sarai seguita da una schiera di vergini”. Cosa che poi effettivamente è avvenuta perché oggi sono migliaia e migliaia i giovani e le ragazze che [nel Movimento] si donano a Dio con una consacrazione totale».
Chiara si consacra, in forma privata, il 7 dicembre 1943 nella chiesa dei frati cappuccini a Trento. Ad accogliere i suoi voti è il confessore e padre spirituale, fra Casimiro Bonetti. La giovane è radiosa e la sua scelta contagia alcune amiche, che decidono di imitarla. Le ragazze danno così vita a una piccola comunità, un «focolare», e vanno a vivere insieme in un appartamento non lontano dalla chiesa francescana. La Seconda guerra mondiale infuria e la città subisce frequenti e pesanti bombardamenti.
Il Vangelo sotto le bombe
Mentre sono, con tutti gli altri, nei rifugi antiaerei le compagne hanno con sé un piccolo Vangelo. Si lasciano provocare dalle pagine che leggono. Dice il Maestro: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Vangelo di Matteo, cap. 18 versetto 20) e la promessa illumina il loro stare insieme; e ancora: «Date e vi sarà dato» (Luca 6,38) e le ragazze guardano ai tanti poveri e disperati che la guerra ha sparso in tutta la città e che chiedono aiuto.
Il Vangelo vissuto, sine glossa, senza troppe elucubrazioni, diventa la regola di vita delle prime focolarine, che passano di meraviglia in meraviglia: se donano ai più poveri i beni che hanno, ne ricevono altri da condividere; se cercano di amarsi l’un l’altra con l’amore che ha Dio, il loro gruppo attrae altri concittadini. Nel 1945 sono già 500 le persone che, come Chiara, in città scelgono il Dio del Vangelo come ideale della propria vita: adulti e giovani, uomini e donne, religiosi e laici. Il Movimento dei Focolari – che assumerà poi il nome ufficiale di Opera di Maria – prende forma e rapidamente si diffonde in Italia, poi in Europa e nel mondo, fino a raggiungere milioni di persone. È un’esperienza corale, fondata sulla «spiritualità dell’unità» che anima i focolarini consacrati e i moltissimi altri, di ogni condizione sociale, che gravitano intorno a loro.
Tutti riconoscono alla Lubich il carisma della fondatrice (che nel 1948-49 associa a sé, come co-fondatori, il deputato Igino Giordani e don Pasquale Foresi). Considerano Chiara la loro mamma spirituale, la circondano di un oceano d’affetto che è quasi venerazione e che – bisogna riconoscerlo – a taluni osservatori esterni sembra sconfinare nel culto della personalità.
Una storia senza confini
Resta il fatto che nella seconda parte del secolo scorso il Movimento dei Focolari acquista una visibilità planetaria e la Lubich è tra i laici cattolici più noti, anche oltre i confini della Chiesa. Per il suo messaggio di unità e amore, lei che non cessa mai di parlare del Vangelo e dei fondamenti della sua fede cattolica, è insignita di numerosi premi, riconoscimenti, lauree honoris causa, cittadinanze onorarie.
La invitano a parlare nei contesti più diversi, anche davanti ad assemblee attente di protestanti, musulmani e buddhisti, in America come in Asia, in Australia come in Africa (i suoi discorsi vengono registrati in audio, se non in video, e oggi sono raccolti nel sito del Centro Chiara Lubich).
Chiara muore, a 88 anni d’età il 14 marzo 2008 a Rocca di Papa, dove c’è la sede centrale del Movimento, che oggi è presieduto da Maria Voce, eletta nel luglio 2008 dall’Assemblea generale dell’Opera di Maria, convocata ogni sei anni. Il secondo mandato di Voce è scaduto quest’anno. Le succederà un’altra focolarina, perché, per statuto, la presidenza spetta a una donna. Una nuova sessione dell’Assemblea generale era prevista in settembre, ma l’emergenza Covid ha costretto a rinviare l’appuntamento a cavallo tra gennaio e febbraio 2021 quando si svolgerà comunque in modalità telematica con i delegati collegati a distanza tramite i canali digitali, considerato il persistere dell’emergenza sanitaria.
Oggi il Movimento dei Focolari, con le sue varie articolazioni, è presente in oltre 190 Paesi e conta circa 2 milioni di aderenti e simpatizzanti, in prevalenza cattolici. Ne fanno parte anche credenti di altre religioni, tra cui ebrei, musulmani, buddhisti, induisti, sikh e persone di convinzioni non religiose.
Come tante altre realtà ecclesiali, anche i focolarini in questo scorcio del terzo millennio vivono una fase nuova, meno esposta mediaticamente. Nell’Europa che è stata culla del Movimento si percepisce un minore slancio, una crisi delle vocazioni, figlia tanto di una secolarizzazione diffusa quanto del riferirsi al cristianesimo come a vessillo identitario buono per contrapporsi ad altri, ma privo di quell’afflato spirituale che alimenta la sete di santità nella propria vita.
Alla ricerca dell’unità
Come vanno, invece, le cose in Terra Santa e in Medio Oriente? Ne abbiamo parlato con Claudio Maina, uno dei focolarini consacrati che vivono a Gerusalemme, e con i due delegati del Movimento per il Medio Oriente e il Nord Africa: la bolognese Silvia Porta e il brasiliano Christian da Silva, che abbiamo raggiunto via Internet ad Amman, in Giordania.
In Terra Santa, ci spiega Claudio Maina, la presenza è piccola. Parliamo di qualche centinaio di persone. Chiara ha visitato Gerusalemme una sola volta, nel 1956. Vi è giunta con alcune compagne soprattutto per far visita a un giovane frate in servizio alla Custodia di Terra Santa, il vicentino Andrea Balbo, in seguito richiamato a Roma, dove è tra i primi religiosi a ricoprire incarichi di responsabilità nel Movimento (per sottolineare la costante vicinanza agli ideali francescani la mostra dedicata al centenario di Chiara Lubich è stata esposta nel marzo 2020 anche presso la sede della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme).
Negli anni Settanta è un altro religioso italiano, il salesiano Armando Bortolaso (che nel 1992 verrà ordinato vescovo e nominato vicario apostolico di Aleppo, in Siria), a portare la spiritualità dei focolarini tra i cristiani di Nazaret, dove vive e insegna. Attorno a lui si forma il primo gruppo di giovani che conosce e aderisce allo spirito di unità del Focolare. Il gruppo cresce piano piano e nel 1974 si organizza la prima Mariapoli (un incontro estivo di vari giorni) a Nazaret. Vi partecipano circa 150 persone, appartenenti a diverse Chiese. Nel 1977 Chiara decide che è il momento di aprire un focolare femminile a Gerusalemme (ogni focolare, maschile o femminile, è composto in genere da almeno quattro consacrati di diverse nazionalità).
A Gerusalemme
«Possiamo dire – spiega Maina – che il Focolare in Terra Santa nasca con l’intenzione di dare un contributo al dialogo con persone di diverse Chiese e religioni, anche se poi di fatto, per parecchio tempo, il movimento qui si è diffuso soprattutto tra i cristiani, non unicamente cattolici. Solo in seguito anche persone ebree e musulmane hanno conosciuto, ed alcune hanno aderito, allo spirito del Focolare. Ma ciò è avvenuto gradualmente e c’è voluto del tempo».
Il Focolare maschile è arrivato nel 1980. Attualmente ci sono cinque comunità di focolarini e focolarine: due a Gerusalemme (quella maschile è nei quartieri orientali) e le altre a Haifa, Betlemme e Nazaret. Complessivamente i membri consacrati sono 24. Come nel resto del mondo, ogni focolarino si guadagna da vivere con il proprio lavoro (e poi mette in comune i beni con gli altri membri del suo focolare). Qui molti prestano servizio presso uffici e istituzioni della Chiesa cattolica.
In Terra Santa, precisa Maina, le persone più impegnate nel Movimento sono circa 220 (dagli adulti ai bambini). Parliamo soprattutto di cattolici, ma ci sono anche membri di altre Chiese, principalmente ortodossi.
«La nostra – riconosce il focolarino italiano – è una presenza piccola e quindi sono anche pochi i casi di ebrei interessati alle nostre attività: parliamo di una trentina di persone che in qualche modo partecipano e condividono il nostro spirito con continuità. Il nostro stile di dialogo si basa soprattutto sui rapporti interpersonali. Cerchiamo di creare un ambiente, una situazione, in cui le persone possano incontrarsi e conoscersi, andando al di là dei pregiudizi. Parliamo di persone (ebree e arabe – ndr) che abitualmente si ignorano, vivono su binari separati, e possono vedersi reciprocamente come nemici. Ci vuol tanto rispetto per le ferite che la storia ha provocato nelle persone e che si riflettono nelle situazioni presenti» (clicca qui per alcune testimonianze video proposte da CSC Audiovisivi).
Ben oltre il dialogo
Nel Movimento Silvia e Christian sono, dal 2017, i referenti della regione Medio Oriente e Nord Africa, un’area che geograficamente va dai Paesi nordafricani affacciati sul Mediterraneo all’Iran (anche se lì non ci sono focolarini), includendo, a sud, anche le nazioni della Penisola arabica e il Sudan e, a nord, Cipro, Grecia e Turchia. Entro questi confini si contano 9 focolari maschili e 13 femminili.
Parlano come se fossero una persona sola, Silvia e Christian: uno integra le riflessioni dell’altra senza contrapporsi, in un fluire di contenuti condivisi. Spiegano che ad Amman ci sono due focolari: uno maschile e uno femminile e che è sembrato naturale porre in Giordania il centro di coordinamento regionale perché quello è l’unico Paese che non ostacola i viaggi da e verso tutti gli altri.
I primi focolarini consacrati a giungere nella regione sono, nel 1966, francesi e italiani che prendono possesso di un monastero benedettino che i monaci stanno per lasciare a Tlemcen, una città nel nord-ovest dell’Algeria. Inizia così un’altra forma di presenza cristiana umile e discreta. Attorno a quella che ormai si chiama Dar es Salam (Casa della pace) a poco a poco cresce la simpatia di un gruppo di musulmani e prende corpo, col passare degli anni, una realtà forse unica al mondo. Ancor oggi la comunità locale del Movimento è formata in stragrande maggioranza da musulmani che grazie al messaggio di Chiara Lubich riscoprono e vivono, come un’unica famiglia insieme ai focolarini consacrati, il messaggio di amore contenuto anche nei loro testi sacri, antidoto per ogni forma di oltranzismo violento e omicida. All’esperienza è dedicato l’interessante documentario Au-delà du dialogue, trasmesso anche da KTO, emittente cattolica francese.
In Turchia le focolarine hanno messo piede nel 1967 in virtù dell’amicizia spirituale nata tra la loro fondatrice e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora. Chiara nel corso della sua vita gli ha fatto visita 24 volte e il focolare le serviva come punto d’appoggio a Istanbul. Siccome le focolarine erano prive di visto permanente, dovevano frequentemente uscire dal Paese per poter così rinnovare il visto turistico. Ciò le condusse spesso in Libano, dove oggi il Movimento dei Focolari ha una presenza stabile e molto articolata. In Egitto e in Siria la spiritualità di Chiara è stata introdotta, negli anni Settanta e Ottanta, da religiosi che l’avevano conosciuta durante i loro periodi di studio in Europa.
Più di recente il movimento s’è diffuso negli Emirati Arabi Uniti, come anche in Kuwait e Bahrein. Ve lo hanno introdotto membri del movimento – provenienti da Paesi come l’Egitto, il Libano, la Giordania, ma anche il Pakistan e le Filippine – che sono andati lì per motivi di lavoro. E questa è un’altra caratteristica tipica: se in alcune nazioni la presenza dei focolarini è instabile e si affievolisce per via dei movimenti migratori, in altri Paesi si fa strada proprio grazie a questi: chi sfolla o diventa profugo porta con sé anche questo dono spirituale da trasmettere ad altri.
«Da Roma, il centro del Movimento ci supporta – osserva Christian –. Anche facendo i conti con la diminuzione di vocazioni, preferiscono chiudere la nostra presenza da un’altra parte per sostenere il Medio Oriente. Siamo guardati con predilezione. Poi aggiungo che ci sono ancora giovani che non ignorano la possibilità di una vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata e comunque un’apertura alla vita spirituale. In questo senso vale la pena investire energie perché c’è ancora un humus molto buono. Comunque, le comunità qui sono mature e portano avanti le loro attività anche senza bisogno dei focolarini consacrati».
Continuare il cammino
Che stagione è – non solo in Medio Oriente – quella che sta vivendo oggi il Movimento dei Focolari? Prova a rispondere Claudio Maina: «Che con la morte di Chiara, nel 2008, sia iniziato per il Movimento un periodo impegnativo e delicato non deve stupire più di tanto. La morte del fondatore comporta quasi sempre una crisi, perché viene meno la presenza fisica di quella persona che ha tratto tante persone dietro di sé indicando un ideale. Viene a mancare la guida sicura e si può capire il disorientamento, l’incertezza sul da farsi. Ciò si riflette anche in una minore visibilità, in una riduzione dei numeri. Il punto è: come vivere questa crisi? Anzitutto, cerchiamo di viverla in chiave spirituale, come una prova di Dio, un tempo di grazia, una purificazione che può aiutare a mettere basi di umiltà. Ad esempio, ad evitare il rischio dell’autoreferenzialità, che può sempre esserci quando le cose vanno bene, o sembrano andare bene».
«Siamo dentro un tempo di maturazione – prosegue il focolarino d’origini torinesi –, che può portare a mettere radici più profonde e quindi a dare un contributo più incisivo e duraturo alla Chiesa e alla società. In questo senso ci hanno incoraggiato le parole che ci ha rivolto papa Francesco in visita a Loppiano (la prima cittadella internazionale sorta per la formazione dei focolarini nel 1964 sulle colline di Incisa Valdarno, a pochi chilometri da Firenze – ndr) il 10 maggio 2018». «La storia di Loppiano – disse il Papa – non è che agl’inizi. Voi siete agl’inizi. È un piccolo seme gettato nei solchi della storia e già germogliato rigoglioso, ma che deve mettere radici robuste e portare frutti sostanziosi, a servizio della missione di annuncio e incarnazione del Vangelo di Gesù che la Chiesa oggi è chiamata a vivere. E questo chiede umiltà, apertura, sinergia, capacità di rischio. Dobbiamo usare tutto questo: umiltà e capacità di rischio, insieme, apertura e sinergia».
«Una crisi – riprende Claudio –, se vissuta bene, può anche essere un’occasione di crescita. E per questo credo che siano importanti due aspetti: la fedeltà alle origini, al carisma che Dio ci ha dato attraverso Chiara, e la creatività. Il contributo che il Focolare può dare in ogni luogo è un servizio all’unità e alla comunione. Per far questo la creatività è indispensabile. Dico una cosa ovvia: un movimento, per sua natura, deve muoversi. Se non si muove non è più sé stesso. Deve essere dinamico e non può fossilizzarsi in forme che potevano andare bene un tempo, ma che non sono più attuali oggi. Dev’esserci un rinnovamento di forme e di linguaggio. È la sfida dell’incarnazione, della concretizzazione, che serve a portare frutti duraturi».
Un sogno d’unità e di pace per Gerusalemme
Il torinese Claudio Maina vive nel focolare maschile di Gerusalemme dal 2004 e segue da vicino uno dei progetti più cari all’Opera di Maria: la creazione di un Centro per l’unità e la pace proprio nel cuore della Città Santa, uno dei luoghi al mondo che più soffrono per l’assenza dell’una e dell’altra.
Maina spiega che «è senz’altro il progetto più impegnativo che abbiamo in cantiere qui in Terra Santa». «L’idea affonda le sue radici nel 1956, quando Chiara è a Gerusalemme e viene accompagnata alla chiesa di San Pietro in Gallicantu dove vede i resti di un’antica scalinata (che dal colle di Sion scende verso la piscina di Siloe – ndr). Le viene riferito di una tradizione secondo cui Gesù, dopo l’ultima cena, andando al Getsemani sarebbe passato di lì e proprio su quei gradini avrebbe pregato il Padre per l’unità».
Quel luogo suggestiona Chiara e le fa nascere in petto il sogno che lì accanto possa sorgere qualcosa che testimoni che l’unità è possibile al di là delle differenze di culture e di credo, come delle ferite provocate dalla Storia.
Negli anni Ottanta i focolarini vengono a sapere che i padri assunzionisti, proprietari di San Pietro in Gallicantu, intendono vendere una porzione del loro terreno subito a nord della scalinata.
Iniziano le trattative e nel 2003 si arriva all’atto di compravendita. «Nel frattempo – dice Maina – dall’intuizione iniziale prende forma il progetto di un centro con quattro orientamenti di fondo, che Chiara stessa individua e indica: la spiritualità, lo studio, il dialogo, la formazione. Coltivando questi filoni il centro vorrà essere a servizio del Movimento dei Focolari nel mondo, ma anche dare un contributo alla comunità locale in Terra Santa».
Nel 2016 il progetto è stato approvato, «dopo anni di trattative molto complesse». Alle necessarie indagini archeologiche sul fazzoletto di terra interessato è seguito il nulla osta a procedere. Ormai non mancano che i permessi di costruzione.
Il centro non sarà una casa per pellegrini, ma un punto di ritrovo e di incontro, che si svilupperà su un’area di circa 9 mila metri quadrati. L’edificio vero e proprio avrà una superficie di mille metri quadrati su due livelli. Una parte non secondaria del progetto è l’area verde tutt’intorno, con luoghi pensati per la sosta, la ricreazione e uno spazio giochi per bambini, possibilmente aperto alle persone del luogo e al quartiere di Silwan, a maggioranza araba.
«La costruzione sarà impegnativa, anche dal punto di vista economico – osserva Maina –. Vedremo come sarà possibile realizzare il progetto e in quali fasi. In altri tempi, come Movimento, saremmo stati forse più attrezzati… Ora si impone un lavoro di ripensamento e di creatività che personalmente considero come un’indicazione di Dio».
Clicca qui per un video di CSC Audiovisivi dedicato al progetto.