Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Marocchini ed ebrei rinsaldano legami antichi

Giorgio Bernardelli
14 dicembre 2020
email whatsapp whatsapp facebook twitter versione stampabile

Rabat prende al balzo la palla offerta da Trump e, prima che sia troppo tardi, incassa il riconoscimento statunitense della sua sovranità sul Sahara Occidentale in cambio dell'apertura di relazioni formali con Israele. Rilanciando i plurisecolari legami con gli ebrei.


Dopo Emirati Arabi, Bahrein e Sudan è arrivato anche il Marocco: giovedì 10 dicembre – complice l’ennesimo blitz diplomatico di Donald Trump – anche Rabat ha annunciato l’intenzione di stabilire relazioni diplomatiche formali con Israele. Mantenendo così la promessa del presidente uscente dalla Casa Bianca, secondo cui presto «diversi altri Paesi arabi» si sarebbero uniti al processo avviato in estate con l’annuncio degli Accordi di Abramo.

Che il Marocco potesse essere uno di questi Paesi lo si diceva da tempo; ma la svolta è arrivata con una tempistica inaspettata, alla vigilia della festività ebraica di Hanukkah. E questa volta l’impressione è che a voler forzare i tempi sia stata proprio Rabat: non ha voluto lasciarsi scappare l’«aiutino» non da poco che l’amministrazione Trump aveva messo sul tavolo per incoraggiare la mossa. Le relazioni diplomatiche con Israele sono arrivate infatti contestualmente a una presa di posizione ufficiale di Washington che riconosce la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale, la lingua di territorio affacciata sull’Atlantico nella quale il popolo sahrawi rivendica da cinquant’anni il diritto all’autodeterminazione, negata da Rabat. Un conflitto che ha assunto a lungo i contorni di una guerra vera e propria e che proprio nelle ultime settimane aveva visto una recrudescenza.

Il Marocco incassa, dunque, il sostegno degli Stati Uniti su una questione che ritiene «interna» prima che l’«offerta» possa essere messa in discussione dall’amministrazione Biden, che si insedierà in gennaio alla Casa Bianca. La monarchia nordafricana entra così ufficialmente nella partita diplomatica aperta in Medio Oriente dal nuovo asse tra Israele e il Golfo Persico, pur non mancando di ripetere – almeno formalmente – il suo sostegno al principio due Stati per due popoli sulla questione israelo-palestinese (ma non evidentemente sul suo rapporto con i sahrawi).

Va detto che le relazioni diplomatiche tra Israele e il Marocco non sono una prima assoluta: già negli anni Novanta – durante il processo di Oslo – i due Paesi avevano nominato degli «incaricati d’affari», il primo livello nei contatti tra Stati. Questo tipo di rapporto era però stato cancellato con la stagione della seconda intifada, all’inizio degli anni Duemila. Anche se rapporti informali tra il governo di Israele e Rabat non sono mai venuti meno. Ora, dunque, vedremo quali saranno gli ulteriori sviluppi.

Una cosa però la si deve sottolineare fin da subito: dal punto di vista di Israele le relazioni diplomatiche con il Marocco sono di gran lunga più importanti di quelle con i Paesi del Golfo o con il Sudan. Perché il Marocco è un luogo estremamente importante per la storia del popolo ebraico: le radici di una presenza ebraica nel Paese risalgono a duemila anni fa; ma fu soprattutto l’espulsione dalla Spagna nel 1492 a portare molte comunità ebraiche a stabilirsi nel Nord-Africa dando vita a una tradizione del tutto unica che in Marocco – come in Tunisia o in Algeria – aveva messo radici profonde. Ed era sopravvissuta anche al nuovo choc degli anni della persecuzione nazista; al punto che proprio in Marocco ai tempi della Francia di Vichy le leggi razziali furono attenuate proprio grazie all’intervento della monarchia locale.

A mandare in crisi la coesistenza furono, però, le guerre arabo-israeliane: quella del 1948/49 e – ancora di più – quelle del 1956 e del 1967, con le ritorsioni in un ambiente ormai divenuto ostile per una comunità ebraica pur pienamente inserita nella cultura locale. Il risultato fu l’emigrazione di massa verso Israele: dei 250mila ebrei che vivevano in Marocco negli anni Quaranta oggi non ne restano che tremila. Anche per chi si è visto costretto a partire, però, migrazione non ha significato cancellazione delle proprie radici: tuttora in Israele gli ebrei di origine marocchina sono una delle comunità più numerose: forse un milione di persone. Ma non è solo una questione di numeri: è una comunità talmente legata alle proprie origini da aver fatto diventare un fatto di costume la mimouna, una festività ebraica che esisteva solo in Marocco. La mimouna è il giorno in cui gli ebrei – finito Pesah – riprendono a mangiare i cibi chametz, cioè lievitati, che in memoria del comando della notte dell’Esodo vengono eliminati dagli ebrei osservanti dalle proprie case prima della celebrazione di Pesah. Non è un caso che la mimouna fosse celebrata proprio in Marocco: oggi in Israele è diventata sostanzialmente un pic-nic preparato per l’occasione, ma l’origine della festa sta nel gesto con cui i vicini musulmani (che avevano continuato a cucinarlo e mangiarlo) offrivano di nuovo agli ebrei il cibo chametz.

C’è tutto questo, dunque, nelle relazioni diplomatiche tra il Marocco e Israele: ci sono le decine di sinagoghe tuttora visitabili nel Paese, ci sono i 50mila ebrei israeliani che anche senza i voli diretti (che adesso arriveranno) in questi ultimi anni si erano recati in vacanza in Marocco alla ricerca delle proprie radici, c’è la recente scelta di re Mohammed VI di reintrodurre nei programmi scolastici la storia degli ebrei come parte della propria storia.

Resta l’incognita: quanto questo passo delle relazioni diplomatiche – così legato oggi a ragioni di realpolitik – potrà davvero riempirsi di questi contenuti? Il punto di partenza è difficile: i sondaggi dicono che appena il 17 per cento della popolazione marocchina approva questa svolta. È un processo difficile, che assomiglia molto di più alle intese con Egitto e Giordania che a quella con gli Emirati Arabi Uniti. Proprio per questo, però, forse oggi è una delle sfide più intriganti per il Medio Oriente di domani.

Clicca qui per leggere un’analisi di Raphael Ahren sulle relazioni tra Israele e il Marocco

Clicca qui per leggere la notizia sull’insegnamento della storia ebraica nelle scuole in Marocco

Clicca qui per leggere la pagina dedicata al Marocco negli anni della Shoah sul sito dello Yad Vashem

Clicca qui per leggere la descrizione della Mimouna sul sito dell’Ufficio del turismo israeliano


 

Perché La Porta di Jaffa

A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

 

Abbecedario della Shoah
Anna Maria Foli

Abbecedario della Shoah

Le parole per capire e non dimenticare
Il Giubileo ad Assisi 2025
Enrico Impalà

Il Giubileo ad Assisi 2025

Guida al pellegrinaggio
Il Giubileo a Roma 2025
Roberta Russo

Il Giubileo a Roma 2025

Guida al pellegrinaggio
Grande storia dei Giubilei
Anna Maria Foli

Grande storia dei Giubilei

Dalle antiche origini ebraiche a oggi