(g.s.) – Il breve discorso che precede la benedizione natalizia Urbi et Orbi papa Francesco quest’anno l’ha pronunciato davanti alle telecamere e a una piccola rappresentanza di fedeli fisicamente presenti attorno a lui nella Loggia delle benedizioni della basilica di San Pietro. La piazza racchiusa dal colonnato berniniano era deserta, come gran parte delle strade e delle piazze di Roma, per via delle misure di confinamento anti-Covid imposte dalle autorità italiane e vaticane.
Il bimbo Gesù ci rende fratelli
Francesco ha preso le mosse dall’espressione del profeta Isaia: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5) per aggiungere: «Grazie a questo Bambino, tutti possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre”, “Papà”. Gesù è l’Unigenito; nessun’altro conosce il Padre, se non Lui. Ma Lui è venuto nel mondo proprio per rivelarci il volto del Padre celeste. E così, grazie a questo Bambino, tutti possiamo chiamarci ed essere realmente fratelli: di ogni continente, di qualsiasi lingua e cultura, con le nostre identità e diversità, eppure tutti fratelli e sorelle».
In nome di questa fraternità non «fatta di belle parole, di ideali astratti, di vaghi sentimenti… ma basata sull’amore reale» ammonisce il Papa «non posso mettere me stesso prima degli altri, mettendo le leggi del mercato e dei brevetti di invenzione sopra le leggi dell’amore e della salute dell’umanità. Chiedo a tutti: ai responsabili degli Stati, alle imprese, agli organismi internazionali, di promuovere la cooperazione e non la concorrenza, e di cercare una soluzione per tutti: vaccini per tutti, specialmente per i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del Pianeta. Al primo posto, i più vulnerabili e bisognosi!».
Francesco ha poi passato in rassegna alcune delle maggiori aree di crisi nel mondo. Ci limitiamo qui a menzionare i passaggi sull’area mediorientale.
Lo sguardo del Papa sul Medio Oriente
«Nel giorno in cui il Verbo di Dio si fa bambino – ha detto il Papa – volgiamo lo sguardo ai troppi bambini che in tutto il mondo, specialmente in Siria, in Iraq e nello Yemen, pagano ancora l’alto prezzo della guerra. I loro volti scuotano le coscienze degli uomini di buona volontà, affinché siano affrontate le cause dei conflitti e ci si adoperi con coraggio per costruire un futuro di pace. Sia questo il tempo propizio per stemperare le tensioni in tutto il Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale».
«Il Bambino di Betlemme – ha pregato Francesco – doni fraternità alla terra che lo ha visto nascere. Israeliani e palestinesi possano recuperare la fiducia reciproca per cercare una pace giusta e duratura attraverso un dialogo diretto, capace di vincere la violenza e di superare endemici risentimenti, per testimoniare al mondo la bellezza della fraternità».
Un pensiero speciale è andato al Libano: «La stella che ha illuminato la notte di Natale sia guida e incoraggiamento per il popolo libanese, affinché, nelle difficoltà che sta affrontando, col sostegno della Comunità internazionale non perda la speranza. Il Principe della Pace aiuti i responsabili del Paese a mettere da parte gli interessi particolari e ad impegnarsi con serietà, onestà e trasparenza perché il Libano possa percorrere un cammino di riforme e proseguire nella sua vocazione di libertà e di convivenza pacifica».
Un incoraggiamento al Libano
La Santa Sede continua a seguire con attenzione e preoccupazione la crisi senza fine del Libano. Ne è riprova la lettera che il 24 dicembre il Papa ha inviato al patriarca maronita, il cardinale Beshara Rai, nell’intento di rivolgersi «a tutti i libanesi, senza distinzione di comunità e di appartenenza religiosa».
«Grande è il mio dolore – scrive il Papa – nel vedere la sofferenza e l’angoscia che soffoca l’innata intraprendenza e vivacità del Paese dei Cedri. Ancor più, è doloroso il vedersi rapire tutte le più care speranze di vivere in pace e di continuare ad essere per la storia e per il mondo un messaggio di libertà ed una testimonianza di buon vivere insieme; ed io che di vero cuore prendo parte, come ad ogni vostra contentezza, così anche ad ogni vostro dispiacere, sento nel vivo dell’animo la gravità delle vostre perdite, soprattutto quando penso ai tanti giovani cui viene tolta ogni speranza di un miglior avvenire».
Il messaggio papale è anche di sprone e incoraggiamento: «Come il cedro, resistente ad ogni tempesta, possiate cogliere le contingenze del momento presente per riscoprire la vostra identità, quella di portare a tutto il mondo il profumo del rispetto, della convivenza e del pluralismo, quella di un popolo che non abbandona le proprie case e la propria eredità; l’identità di un popolo che non fa cadere il sogno di quelli che hanno creduto nell’avvenire di un Paese bello e prospero».
In chiusura, la lettera richiama i politici libanesi, gli altri governi e gli organismi internazionali alle loro responsabilità davanti alle sorti di questo popolo. Scrive Francesco: «In tale prospettiva mi appello ai capi politici e ai leader religiosi prendendo in prestito un passaggio di una lettera pastorale del patriarca Elias Hoyek: “Voi capi del Paese, voi giudici della terra, voi deputati delle persone che vivete per conto del popolo, (…) siete obbligati, nella vostra capacità ufficiale e secondo le vostre responsabilità, a cercare l’interesse pubblico. Il vostro tempo non è dedicato ai vostri migliori interessi e il vostro lavoro non è per voi, ma per lo Stato e per la nazione che rappresentate”. Infine, l’affetto al caro popolo libanese, che conto di visitare appena possibile, unito alla costante sollecitudine che ha animato l’azione dei miei predecessori e della Sede Apostolica, mi spinge a rivolgermi ancora una volta alla Comunità internazionale. Aiutiamo il Libano a rimanere fuori dai conflitti e dalle tensioni regionali. Aiutiamolo a uscire dalla grave crisi e a riprendersi».
La missiva del Papa ai libanesi può anche essere letta come un estremo grido di allarme, se è vero come è vero che la classe politica nazionale si dimostra ancora incapace di imprimere una svolta decisiva. A poco è servita la mediazione del patriarca maronita: il 23 dicembre è fallito il tentativo di dar vita a un governo di tecnici entro Natale (ci si prova da agosto). Il premier incaricato, Saad Hariri, e il capo dello Stato, Michel Aoun, non sono riusciti a trovare una sintesi tra le condizioni poste dagli schieramenti avversari nei quali essi stessi si riconoscono.