«Chiediamo a tutti coloro che hanno a cuore la Terra Santa, che conoscono il nostro lavoro per alleviare le necessità delle persone più fragili a Gerusalemme, a Betlemme e in Cisgiordania, di acquistare i manufatti palestinesi per Natale per aiutarci a superare questo momento di grave sofferenza, con la pandemia che ha messo in ginocchio l’economia palestinese e migliaia di famiglie che vivono sul turismo». È questo l’appello lanciato nei giorni scorsi da suor Alicia Vacas, responsabile delle suore Comboniane in Medio Oriente, nel corso di una diretta Facebook promossa da Pax Christi Italia alla quale hanno partecipato anche la consorella suor Aziza (al secolo Azezet Habtezghi Kidané) insieme a padre Jamal Daibes, direttore generale delle scuole cristiane in Palestina per il Patriarcato latino di Gerusalemme e al dottor Nidal Salameh, direttore del Centro medico Al Saqada di Betlemme.
«La situazione generale dei palestinesi – ha esordito padre Daibes, in collegamento da Ramallah – si è aggravata dal 2018, con la famigerata approvazione della legge sullo Stato ebraico che di fatto ha ridotto gli spazi di cittadinanza sociale e politica dei non ebrei residenti in Israele e ha ulteriormente esacerbato il clima di separazione fra i due popoli».
«Dopo l’esito delle elezioni negli Stati Uniti per la Casa Bianca non nutriamo chissà quali aspettative su Joe Biden, ma è innegabile che la propaganda del cristianesimo sionista (più vicino a Trump – ndr), con una lettura della Parola di Dio che giustifica l’occupazione e avalla l’oppressione dei palestinesi, contribuisca a rafforzare l’impunità di chi nega i diritti più elementari, come si vede dalla distruzione, proprio in questi giorni, di un villaggio beduino nella Cisgiordania occupata», ha aggiunto il sacerdote.
Mercoledì 4 novembre, in effetti, Israele ha portato a termine quella che per l’Ufficio Onu per il coordinamento degli Affari umanitari (Ocha) è «la più grande demolizione di alloggi palestinesi negli ultimi dieci anni» avvenuta nel villaggio beduino di Khirbet Humsa, nella parte settentrionale della Valle del Giordano, con 74 persone – fra le quali 41 bambini – private di abitazioni, stalle per gli animali, servizi igienici e pannelli solari. Per Israele quelle case erano state «costruite illegalmente», ma l’Onu ha definito l’intervento dei bulldozer «una grave violazione» del diritto internazionale. «Mentre eravate tutti impegnati a seguire le elezioni americane, Israele ha demolito l’insediamento dove risiedeva un’intera comunità» ha tuonato su Twitter l’organizzazione non governativa israeliana B’Tselem, diffondendo un video con le immagini della distruzione.
«L’epidemia del Covid-19 dall’inizio del 2020 ed il silenzio che ha avvolto molte notizie ritenute meno urgenti del virus – ha confermato suor Aziza – hanno ulteriormente peggiorato la situazione dei palestinesi, dei beduini residenti in Israele e dei richiedenti asilo sudanesi ed eritrei per i quali non cessiamo di richiedere il riconoscimento dei diritti e della protezione internazionale alle autorità israeliane, come per tutti coloro che, pur non appartenendo alla religione ebraica, hanno scelto di vivere e di lavorare nello Stato di Israele».
La religiosa, premiata nel 2012 da Hillary Clinton per il suo impegno di accoglienza e di contrasto alla tratta di esseri umani nella penisola del Sinai, ha raccontato come, malgrado le pressioni internazionali, i richiedenti asilo sudanesi, eritrei e persino gli stranieri non ebrei coniugati con cittadini israeliani continuino ad essere trattati come cittadini di serie B dalle autorità israeliane.