L’arrivo, il 19 novembre, di Mike Pompeo tra le vigne di Psagot, a poca distanza da Ramallah, è avvenuto sotto una pesante scorta militare. Visita altamente simbolica quella del capo della diplomazia dell’amministrazione Trump in scadenza, perché per la prima volta un segretario di Stato Usa si reca in una colonia della Cisgiordania. Il fatto rappresenta bene quattro anni di politica accomodante condotta dal presidente americano verso Israele. Mike Pompeo ha annunciato, nel corso di una conferenza stampa a Gerusalemme, che gli Stati Uniti prenderanno misure «immediate» contro le organizzazioni legate al movimento di boicottaggio di Israele. Il movimento Bds (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) è, infatti, nel mirino delle autorità americane. «Noi riteniamo che questa campagna mondiale anti-israeliana sia antisemita», ha aggiunto. Pompeo ha inoltre riaffermato la legittimità delle colonie decidendo che le etichette dei prodotti fabbricati negli insediamenti israeliani dovranno riportare solo la dicitura «Made in Israel» quando saranno esportati negli Stati Uniti.
Bottiglie intitolate
È significativo che le cantine di Psagot siano state al centro di una disputa internazionale fra il 2018 e il 2019. Una decisione francese, poi convalidata dalla Corte europea, aveva costretto Yaakov Berg, il proprietario delle cantine, a indicare che il suo vino proveniva da colonie israeliane e non da Israele, perché fosse esportato in Europa. L’amministrazione Trump, per voce dello stesso Pompeo, aveva ribattuto che «la creazione di colonie di civili israeliani in Cisgiordania non è in sé contraria al diritto internazionale». Per riconoscenza, Yaakov Berg ha battezzato con il nome del segretario di Stato una serie limitata di bottiglie di vino rosso, vendute con grande pubblicità alla fine dello scorso anno. Il cerchio si è chiuso con questa visita ufficiale di Pompeo, secondo cui il vino israeliano avrebbe un ruolo in questo processo di normalizzazione.
Un passo indietro nel tempo: nel VII secolo, la conquista musulmana segnò una netta battuta d’arresto per una tradizione vinicola antica come la Bibbia. Solo a partire dal 1882 la Terra Santa si ricollegò al suo antico patrimonio e la cultura del vino riprese vita, anche per impulso del barone Edmond de Rothschild che offrì sostegno tecnico e finanziario.
Vigne ed effetti politici
Dovrà passare un secolo perché il vino israeliano passi da una produzione uniforme, destinata al qiddush (la benedizione pronunciata su un calice di vino kosher nelle festività) a una produzione di qualità destinata all’esportazione. Negli anni Ottanta i vini delle alture del Golan sono stati pionieri in questa evoluzione, al punto che la loro qualità ha dato una nuova immagine al Golan. Questa fu poi sfruttata dal governo laburista di Yitzhak Rabin negli anni Novanta, durante i negoziati per un accordo di pace con la Siria di Hafez Assad, che chiedeva il ritiro israeliano dal Golan. I coloni della Cisgiordania hanno applicato lo stesso processo, ma con più difficoltà. Oggi 16 tenute vinicole su 250 del Paese sono impiantate nelle colonie.
L’illegalità del loro stabilimento e quello che viene definito furto di terre hanno innescato movimenti di boicottaggio. «Ma la maggior parte dei consumatori israeliani non sembrano preoccuparsene e l’industria vitivinicola locale ha iniziato ad accettare i colleghi delle colonie», osserva il giornalista di Haaretz Anshel Pfeffer. Oggi i grandi produttori israeliani non esitano a recarsi in Cisgiordania per lavorare al miglioramento dei vini, la cui qualità inizia a essere conosciuta nel mondo. Scrupoli etici, pressioni politiche e l’etichettamento europeo non sembrano avere impedito la normalizzazione dei vini delle colonie. «Anzi – insiste Pfeffer –, continuano a non rispettare la Linea verde e a legittimare l’occupazione»