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Un G20 virtuale, vetrina sfumata

Laura Silvia Battaglia
25 novembre 2020
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L'Arabia Saudita si preparava da tempo ad ospitare il vertice G20 tra capi di Stato e di governo il 21 e 22 novembre scorsi. Sarebbe stata l'occasione per mostrare a tutti l'avveniristica città di Neom. Il coronavirus ha fatto cambiare i piani, ma Neom è stata teatro di un importante appuntamento "segreto"...


Da lungo tempo era atteso come l’evento dell’anno, annunciato da video promozionali sulle città di Jedda e Riyadh, in un momento in cui l’Arabia Saudita ha deciso di aprire buona parte del suo Paese al turismo, non solo religioso e non solo da Paesi arabo-islamici. La pandemia da Covid-19, però, ha ridimensionato inevitabilmente le aspettative, facendo però del G20 di Riyadh una doppia eccezione: è il primo G20 avvenuto nel regno dei Saud e il primo G20 totalmente virtuale.

Gli esiti dei 170 incontri complessivi svoltisi il 21 e 22 novembre, durante questo vertice, hanno dato origine alla Dichiarazione di Riyadh, un documento che, in sostanza, impegna i firmatari a «prendere misure immediate ed eccezionali per affrontare la pandemia da Covid-19 e gli impatti correlati sui sistemi sanitari, economici e sociali», riconoscendo necessaria la più larga estensione globale dell’immunizzazione dal virus.

Il documento è meno assertivo quando si tratta di impegno sul clima, protezione del pianeta, riduzione dell’impatto dello sviluppo industriale sulla biodiversità, gli oceani, le acque, un futuro sostenibile. Del resto, non poteva essere diversamente, considerato anche il fatto che il Paese quest’anno ospitante il G20 fa dello sviluppo industriale, al momento, uno dei suoi cavalli di battaglia, pur spingendo su tecnologie verdi e forme di energia alternative all’uso degli idrocarburi che pur produce in abbondanza. Un G20 reale e non virtuale era anche visto dai Saud come l’occasione per presentare fisicamente ai capi di Stato e alle delegazioni la concretizzazione di questo pensiero «sostenibile»: la città di Neom in via di realizzazione sulle coste nord-occidentali dell’Arabia Saudita, nella provincia di Tabuk, sul Mar Rosso, al confine tra Egitto, Israele, Giordania.

Definita la prima smart city al mondo per l’ambizione di funzionare solo con energie rinnovabili e sistemi di trasporto e servizi guidati dall’intelligenza artificiale, Neom è costruita in pieno deserto. Dovrebbe essere completata nel 2025, per un costo previsto di 500 miliardi di dollari, consentendone l’abitazione e anche la destinazione a fini turistici. Parrebbe comunque che almeno qualcuno degli ospiti attesi al G20 sia riuscito a metterci piede. Secondo indiscrezioni del Wall Street Journal, un funzionario saudita ha riferito che domenica scorsa il principe ereditario Mohammed bin Salman e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu hanno tenuto dei colloqui segreti proprio lì, benché il ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhan neghi l’accaduto.

I piani di volo dell’aereo privato spesso utilizzato dal premier israeliano per spostamenti non ufficiali, hanno tuttavia rilevato la sua presenza in Arabia Saudita. L’aereo è stato seguito in volo dai sistemi di tracciamento internazionali sulla rotta da Tel Aviv a Neom, domenica 22 novembre a tarda ora, con rientro alla base intorno a mezzanotte. Oggetto dei colloqui – sempre secondo la fonte – è stato il tema della normalizzazione dei rapporti con Israele, per il quale, dopo i passi compiuti da Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan, ci si aspetta una reazione positiva dal regno dei Saud. Tuttavia sembrerebbe che, nonostante un paio di ore di colloqui, in particolare sulle questioni regionali e il rapporto con l’Iran, potenza rivale di entrambi i Paesi, i due leader politici non siano riusciti a raggiungere un accordo. Fin dalla ridiscussione dei rapporti di molti Paesi del Golfo con Israele, infatti, l’Arabia Saudita si è dimostrata favorevole alla normalizzazione, a patto che Israele permetta la creazione di uno Stato palestinese indipendente, cosa che non appare nelle intenzioni di Netanyahu.

Si dice che i colloqui abbiano avuto luogo anche alla presenza del segretario di Stato americano Mike Pompeo (il ministro degli Esteri saudita conferma che Pompeo abbia visitato Neom) mentre la Radio dell’esercito israeliano ha affermato che Yossi Cohen, direttore dell’agenzia di spionaggio del Mossad, ha accompagnato Netanyahu nel viaggio. Se confermato, sarebbe la prima volta che un importante funzionario israeliano visiti il regno dei Saud al seguito del premier.

Al di là dei «si dice», l’episodio segna ancora un nulla di fatto per gli equilibri regionali, ma è di certo uno spot in extremis per la città futuristica di Neom.


 

Perché Diwan

La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.

Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.

Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen).

Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24, Tv2000), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu).

Ha girato, autoprodotto e venduto vari video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).

 

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