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Perché piace Taagad, la «brigata» del Golan

Alessandra Abbona
15 ottobre 2020
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Perché piace <i>Taagad</i>, la «brigata» del Golan
Alcuni protagonisti della serie israeliana Taagad

Un variegato gruppo di militari paramedici, impegnati su uno dei confini più caldi di Israele, sono i protagonisti di Taagad, mix di commedia e film d’azione che alterna humor a scene di grande tensione.


Possiamo paragonarla a M*A*S*H, la nota serie tivù statunitense, durata un decennio a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, che raccontava le vicende tragicomiche di medici militari in un ospedale da campo dell’esercito americano durante la guerra di Corea.

Taagad (la Brigata», in ebraico), è il ritratto contemporaneo di un gruppo di giovani militari paramedici, che prestano servizio nella base di un’unità speciale dell’esercito israeliano sulle Alture del Golan: uno spaccato attuale della vita quotidiana del servizio di leva in Israele, con un ventaglio di personaggi rappresentativi del mosaico culturale del Paese, ambientato in un territorio ancora conteso (con la Siria) e che si affaccia su uno scenario di guerra.

Creato e diretto da Zion Rubin e prodotto da Yes, dinamica società di produzione e distribuzione televisiva, Taagad – nato nel 2016, attualmente alla seconda stagione – è la fiction televisiva di maggiore successo del momento, visibile sulla più nota piattaforma a pagamento.

Yes è una fucina creativa che sta sfornando e vendendo all’estero alcuni dei prodotti più di tendenza del panorama video internazionale: come Fauda, che racconta le missioni di una squadra speciale di agenti israeliani sotto copertura in territorio palestinese e Shtisel, serie ispirata alle vicende di una famiglia di ebrei haredi di Gerusalemme.

Specchio di un Paese multiculturale

Taagad è un mix di commedia e film d’azione che alterna momenti di umorismo a scene drammatiche e di grande tensione. Ad oggi solo disponibile in ebraico, il format è stato recentemente venduto alla Paramount che ne farà un remake americano.

Che cosa ha di speciale Taagad? I volti e i caratteri dei vari personaggi: tutti giovani, attraenti e fotogenici, scelti accuratamente per incarnare la multiculturalità dell’Israele odierno.

Ci sono gli ashkenaziti: Omer, medico carismatico e impulsivo, tormentato dalla ricerca del fratello scomparso da anni sulle alture del Golan; la bionda e attraente Rona, modella nella vita civile e qui comandante del battaglione, autoritaria e piena di sé; Polczak, il colono paramedico, sempre pronto a menar le mani, diviso tra l’essere osservante e la tentazione suscitata dalle soldatesse del campo.

E quindi i mizrahi: Ben Lulu, di origine marocchina, autista di ambulanza, personalità istrionica con velleità di cantante, che si innamora di Amira, ragazza araba della zona, rischiando grosso; Yasmine, anch’essa autista di ambulanza, forte e determinata, compagna di Omer; poi Shoshana e Berdugo, due soldati semplici goffi e incapaci, che gestiscono lo spaccio alimentare della base e vengono presi in giro da tutti i commilitoni.

Altra coppia di amici-nemici sono Tetro, di origine georgiana e Dekel che è falascia: entrambi si contendono la bellissima Eden, etiope come Dekel. C’è poi il druso Emil, fedele amico di Omer, quindi Lia e Oren, coppia di ragazze omosessuali, la sensibile Rotem, paramedica che, ferita gravemente durante un confronto a fuoco, sopravvive con seri traumi psicologici, infine Boaz, strafottente e ambizioso, in perenne conflitto con Omer, e che si metterà nei guai con Fiona, affascinante e ambigua soldatessa delle Nazioni Unite.

Le cure anche per i nemici

Teatro di Taagad è il confine con la Siria, dove infuria la guerra civile tra gruppi jihadisti e governativi e dove si aggiunge la presenza dei caschi blu dell’Onu, nella zona cuscinetto tra i due Stati.

Nella serie, molti degli interventi di emergenza dell’unità paramedica, sono indirizzati a salvare le vite di siriani sul confine, che poi vengono curati negli ospedali israeliani. Ecco una prima caratteristica della narrativa di Taagad: siamo in guerra, ma curiamo anche i nemici.

Altro indizio di una narrativa che vuole consegnare allo spettatore una visione corretta del mosaico dello Stato ebraico sono le «quote» di rappresentanza delle varietà della popolazione israeliana (sia essa ebraica sia araba) all’interno della serie.

Prestando però attenzione all’evoluzione delle varie puntate e dei dialoghi, traspare anche altro. I militari dell’Onu sono presentati come coinvolti in operazioni poco chiare e conflittuali e vengono principalmente impersonati da Fiona, americana scaltra e senza scrupoli che odia gli israeliani, poiché la sorella, attivista per la causa palestinese a Gaza, fu uccisa da un tank dell’esercito (il riferimento è chiaramente alla drammatica sorte di Rachel Corrie) e da Raul, caricaturale ufficiale spagnolo che si invaghisce di Rona, al punto da volersi convertire e farsi circoncidere tramite un intervento chirurgico farsesco, messo in atto dal gruppo di paramedici della base israeliana, e viene deriso da tutti.

In un dialogo con il suo spasimante spagnolo, ufficiale delle Nazioni Unite, l’indisponente Rona snocciola tutto il repertorio della propaganda israeliana su come Israele sia l’unica democrazia del Medio Oriente e del perché invece di denunciare solo il governo israeliano, l’Onu non si curi di quanto fa la Cina in Tibet, o dell’Iran con i suoi interessi in Yemen, Iraq e Siria e di come nazioni europee vogliano boicottare i prodotti israeliani.

Una nazione in ebollizione

L’ultima puntata di questa seconda stagione si conclude con un finale tragico, pieno di incognite e comunque aperto. Omer, alla costante ricerca del fratello scomparso misteriosamente sul Golan, sconfina e viene catturato da un gruppo armato terrorista siriano. Tra i suoi carcerieri ritrova il fratello, cresciuto e passato dalla parte nemica. Quando viene liberato da un commando israeliano, Omer insegue il fratello in fuga per poi ucciderlo con un colpo di pistola alla schiena. Anche gli altri personaggi della serie sono al centro di vicende lasciate aperte. Visto il successo della serie, la terza stagione è certamente in lavorazione.

La serie è ben girata, con un ritmo sostenuto e una colonna sonora che miscela sonorità rock e orientali. Un prodotto confezionato benissimo, che sa parlare ai giovani e, benché molto centrato su Israele (ed è un peccato che non sia almeno sottotitolato in inglese), fa rimanere incollati allo schermo. Davvero il frutto di una nazione in ebollizione, anche dal punto di vista creativo.


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