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Rogo a Lesbo, 13 mila persone in cerca di protezione

Anna Clementi
9 settembre 2020
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Rogo a Lesbo, 13 mila persone in cerca di protezione
Alcuni profughi si aggirano tra i resti inceneriti del campo di Moria il 9 settembre 2020. (foto Epa/Orestis Panagiotou)

Il sovraffollato campo profughi di Moria, sull'isola greca di Lesbo, è andato a fuoco la notte scorsa. Dopo un'estate di restrizioni e la scoperta di decine di contagi da coronavirus cresce l'esasperazione.


«Moria è finita, Moria non esiste più» ci scrivono alcuni ragazzi siriani scappati dalle fiamme, ancora increduli di quanto avvenuto. Dopo l’incendio divampato intorno alla mezzanotte di martedì 8 settembre, del più grande campo profughi d’Europa rimangono solo macerie fumanti e scheletri di tende e container. Intere aree sono state rase al suolo, migliaia di persone hanno perso i loro averi e si sono riversate in strada in cerca di tutela e protezione.

Molte organizzazioni non governative dirette al campo per portare soccorso e aiuti umanitari sono state bloccate da un cordone di polizia e alcuni volontari hanno denunciato di essere stati vittime di attacchi da parte di gruppi di estrema destra che li hanno aggrediti con spranghe e pietre distruggendo varie auto.

Ancora da accertare le cause dell’incendio, forse derivanti da scontri a causa del lockdown totale che le autorità greche hanno imposto a Moria, sull’isola di Lesbo, il 2 settembre scorso dopo la scoperta del primo rifugiato positivo al Covid-19 – al momento i casi registrati, per lo più asintomatici, sono saliti a 35, ma si teme che siano molti di più.

Di certo c’è che Moria era una bomba a orologeria pronta a esplodere. In un’area di meno di un chilometro quadrato, pensata per un massimo di 2.800 persone, vivevano ammassati oltre 12 mila profughi e richiedenti asilo, di cui più della metà sotto i 18 anni, in container sovraffollati, in tende improvvisate e in alloggi di fortuna. Da marzo 2020 la situazione nell’isola greca si era fatta sempre più tesa. Mentre gruppi di estrema destra lasciati agire dal governo avevano cominciato a prendere di mira volontari, operatori umanitari e profughi, Moria era stato posto in lockdown con un numero estremamente limitato di persone che potevano entrare e uscire dal campo. A giugno, mentre la Grecia riapriva le scuole e i suoi confini di terra, acqua e aria per far entrare migliaia di turisti, le restrizioni di movimento per i residenti dell’hotspot erano state nuovamente prorogate fino alla fine di agosto.

Il primo caso di Covid-19 – riscontrato, con un tempismo perfetto, proprio allo scadere delle misure restrittive – è stato solo un pretesto per sigillare definitivamente il campo. Il 2 settembre le autorità greche, nell’arco di una sola giornata, hanno messo in atto quanto si temeva da tempo, annunciando il lockdown totale nell’hotspot e la firma di un contratto da oltre 850 mila euro tra il ministero dell’Immigrazione e dell’Asilo e la multinazionale Ellaktor per la conversione di Moria in un centro chiuso da compiersi entro il 2 novembre. Una mossa fortemente criticata da numerose organizzazioni non governative tra cui Medici Senza Frontiere, che ha definito la quarantena una misura «ingiustificata e crudele», volta solamente ad aggravare la sofferenza fisica e mentale di persone già fortemente provate.

In queste ore, a Lesbo regna il caos. Le quasi 13 mila persone che vivevano a Moria si sono disperse per le strade: c’è chi ha tentato di raggiungere Mitilene, la principale città dell’isola, cercando di evitare i posti di blocco della polizia; chi ha trovato rifugio nelle poche tende rimaste in piedi; chi tra gli alberi di olivo. Mancano tutti i servizi di base, cibo e acqua, servizi sanitari, le persone non hanno più accesso all’elettricità per ricaricare i cellulari, rassicurare i familiari e raccontare all’esterno cosa sta avvenendo nell’isola.

Nella giornata di mercoledì 9 settembre il governo greco ha dichiarato lo stato d’emergenza in tutta Lesbo per un periodo di quattro mesi, facendo arrivare da Atene nuovi reparti di esercito e polizia. Non è invece previsto un aumento della fornitura di aiuti umanitari e di assistenza medica. Come denunciato dal Legal Centre Lesvos, un’organizzazione no profit di avvocati, la questione della sicurezza continua a essere la priorità del governo greco, a discapito di un approccio umanitario volto alla tutela e al supporto delle persone.

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