La Scuola per la pace del villaggio di Neve Shalom Wahat al Salam è stata distrutta da un incendio. Il cuore dell’Oasi di pace (questo il significato del nome, in ebraico e arabo), fondata all’inizio degli anni Settanta del Novecento su una collina a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv dal domenicano Bruno Hussar, è andato in fumo la notte del 31 agosto.
A darne notizia agli amici e sostenitori nel mondo è Samah Salaime, direttrice del settore Comunicazione e Sviluppo, ancora sotto choc: «Ieri è stata una notte estremamente difficile per il nostro villaggio. Poco prima della riapertura della scuola elementare, dopo tutte le emozioni e i preparativi per l’inizio del nuovo anno, ci siamo svegliati di fronte a una realtà molto dolorosa: l’edificio principale della Scuola per la pace è bruciato».
Fortunatamente non vi sono stati feriti. Non è ancora chiaro se l’incendio sia stato di natura accidentale o dolosa: tutti gli abitanti si augurano che l’indagine della polizia riesca a trovare le cause.
L’arte della pace
In quelle aule per quarant’anni migliaia di israeliani e palestinesi – soprattutto giovani – si sono incontrati per imparare ad affrontare il conflitto, analizzandone le dinamiche a partire dall’esperienza personale, grazie all’aiuto di facilitatori ed esperti, rigorosamente sia ebrei sia arabi. Dando seguito alle parole di Bruno Hussar e a quel sogno che al Villaggio ha dato vita: «In ogni Paese esistono accademie dove, per anni, viene insegnata l’arte della guerra. (…) Noi volevamo creare una “scuola per la pace”, perché anche la pace è un’arte: che non si improvvisa, ma deve essere insegnata» (da Bruno Hussar, Quando la nube si alzava. La pace è possibile, Marietti, Genova 1996, p. 121).
Corsi, laboratori e programmi, dedicati anche a diverse categorie professionali implicate a vari livelli nel conflitto (giornalisti, urbanisti e architetti, giovani politici, avvocati…), certamente continueranno, ma occorrerà capire come.
Sei mesi di tensione e fatica
L’incendio si è verificato dopo sei mesi già molto duri e tesi: l’emergenza sanitaria, la sospensione della scuola primaria e di tutte le attività delle altre istituzioni educative (il Centro spirituale pluralista, il “Nadi” – ossia il club dei giovani – e ovviamente la Scuola per la pace), l’assenza di visite. Senza contare la chiusura dell’hotel e le conseguenti, significative, difficoltà economiche.
Sei mesi segnati anche dalla scomparsa, lo scorso 27 luglio, di Anne Le Meignen, fondatrice del Villaggio insieme a Bruno Hussar. Una figura chiave che ha accompagnato con passione tutta la crescita della comunità.
Fianco a fianco
Il Villaggio è oggi abitato da settanta famiglie, equamente divise tra ebree e arabe, tutte di cittadinanza israeliana. Grazie al piano di espansione già in atto, altri ottanta nuclei familiari, giovani e con bambini, entreranno a far parte di quella che è oggi l’unica comunità in Israele in cui famiglie ebree e arabe vivono insieme per scelta. E fianco a fianco hanno scelto di far studiare i propri figli.
La scuola primaria bilingue e binazionale – ogni classe è divisa in egual numero tra alunni ebrei e arabi, e gli insegnanti, appartenenti a entrambi i popoli, parlano loro esclusivamente nella propria lingua madre – accoglie oggi circa trecento bambini, e arriva fino al sesto grado. Oltre ai residenti, è frequentata, per il 90 per cento, da bimbi provenienti da una ventina di villaggi e città vicine.
Il sogno di pace dei fondatori e delle prime famiglie, dunque, continua a dare frutti. Come sottolineato da Samah Salaime: «L’edificio della Scuola per la pace è bruciato, ma la pace non è stata bruciata. Le aule sono andate in fumo, ma non il sogno». Samah aggiunge con determinazione: «Un edificio è andato in rovina, ma il nostro ardente desiderio di pace rimarrà. Ricostruiremo la struttura e continueremo il nostro lavoro».