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Israele, in fiamme la Scuola per la pace

Giulia Ceccutti
2 settembre 2020
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Israele, in fiamme la Scuola per la pace
Un'aula della Scuola per la pace annerita e devastata dall'incendio.

Le aule della scuola del villaggio di Neve Shalom Wahat al Salam (Oasi di pace) sono state devastate da un incendio alla vigilia della ripresa dell'anno scolastico. Uno choc per gli abitanti del villaggio, che però non demordono.


La Scuola per la pace del villaggio di Neve Shalom Wahat al Salam è stata distrutta da un incendio. Il cuore dell’Oasi di pace (questo il significato del nome, in ebraico e arabo), fondata all’inizio degli anni Settanta del Novecento su una collina a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv dal domenicano Bruno Hussar, è andato in fumo la notte del 31 agosto.

A darne notizia agli amici e sostenitori nel mondo è Samah Salaime, direttrice del settore Comunicazione e Sviluppo, ancora sotto choc: «Ieri è stata una notte estremamente difficile per il nostro villaggio. Poco prima della riapertura della scuola elementare, dopo tutte le emozioni e i preparativi per l’inizio del nuovo anno, ci siamo svegliati di fronte a una realtà molto dolorosa: l’edificio principale della Scuola per la pace è bruciato».

Fortunatamente non vi sono stati feriti. Non è ancora chiaro se l’incendio sia stato di natura accidentale o dolosa: tutti gli abitanti si augurano che l’indagine della polizia riesca a trovare le cause.

L’arte della pace

In quelle aule per quarant’anni migliaia di israeliani e palestinesi – soprattutto giovani – si sono incontrati per imparare ad affrontare il conflitto, analizzandone le dinamiche a partire dall’esperienza personale, grazie all’aiuto di facilitatori ed esperti, rigorosamente sia ebrei sia arabi. Dando seguito alle parole di Bruno Hussar e a quel sogno che al Villaggio ha dato vita: «In ogni Paese esistono accademie dove, per anni, viene insegnata l’arte della guerra. (…) Noi volevamo creare una “scuola per la pace”, perché anche la pace è un’arte: che non si improvvisa, ma deve essere insegnata» (da Bruno Hussar, Quando la nube si alzava. La pace è possibile, Marietti, Genova 1996, p. 121).

Corsi, laboratori e programmi, dedicati anche a diverse categorie professionali implicate a vari livelli nel conflitto (giornalisti, urbanisti e architetti, giovani politici, avvocati…), certamente continueranno, ma occorrerà capire come.

Sei mesi di tensione e fatica

L’incendio si è verificato dopo sei mesi già molto duri e tesi: l’emergenza sanitaria, la sospensione della scuola primaria e di tutte le attività delle altre istituzioni educative (il Centro spirituale pluralista, il “Nadi” – ossia il club dei giovani – e ovviamente la Scuola per la pace), l’assenza di visite. Senza contare la chiusura dell’hotel e le conseguenti, significative, difficoltà economiche.

Sei mesi segnati anche dalla scomparsa, lo scorso 27 luglio, di Anne Le Meignen, fondatrice del Villaggio insieme a Bruno Hussar. Una figura chiave che ha accompagnato con passione tutta la crescita della comunità.

Fianco a fianco

Il Villaggio è oggi abitato da settanta famiglie, equamente divise tra ebree e arabe, tutte di cittadinanza israeliana. Grazie al piano di espansione già in atto, altri ottanta nuclei familiari, giovani e con bambini, entreranno a far parte di quella che è oggi l’unica comunità in Israele in cui famiglie ebree e arabe vivono insieme per scelta. E fianco a fianco hanno scelto di far studiare i propri figli.

La scuola primaria bilingue e binazionale – ogni classe è divisa in egual numero tra alunni ebrei e arabi, e gli insegnanti, appartenenti a entrambi i popoli, parlano loro esclusivamente nella propria lingua madre – accoglie oggi circa trecento bambini, e arriva fino al sesto grado. Oltre ai residenti, è frequentata, per il 90 per cento, da bimbi provenienti da una ventina di villaggi e città vicine.

Il sogno di pace dei fondatori e delle prime famiglie, dunque, continua a dare frutti. Come sottolineato da Samah Salaime: «L’edificio della Scuola per la pace è bruciato, ma la pace non è stata bruciata. Le aule sono andate in fumo, ma non il sogno». Samah aggiunge con determinazione: «Un edificio è andato in rovina, ma il nostro ardente desiderio di pace rimarrà. Ricostruiremo la struttura e continueremo il nostro lavoro».

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