L'Ufficio delle Nazioni Unite per le questioni umanitarie denuncia un'impennata nel numero di abitazioni palestinesi abbattute dagli israeliani in Cisgiordania. Sarà una buona idea aumentare i senzatetto in tempi di pandemia?
Mentre Donald Trump celebrava sé stesso per la vittoria diplomatica e il mondo applaudiva (giustamente, da un certo punto di vista) gli Accordi di Abramo che siglano la nuova intesa degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein con Israele, i palestinesi sperimentavano per l’ennesima volta l’abbandono totale in cui sono precipitati. Nel periodo del lockdown decretato per combattere il Covid-19, infatti, 389 abitazioni ed edifici appartenenti a palestinesi sono stati abbattuti in Cisgiordania dai militari di Israele, in quella che Jamie McGoldrick, coordinatore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per le questioni umanitarie (Ocha) ha definito «la più intensa campagna di demolizioni degli ultimi quattro anni».
Mentre il virus colpiva con la massima intensità, 442 palestinesi sono stati trasformati in senzatetto, aumentando al massimo grado la loro esposizione al contagio. Le ruspe israeliane hanno abbattuto non solo abitazioni, ma anche impianti idrici e sanitari e strutture usate per la coltivazione dei campi, abbattendo drasticamente le condizioni di vita e le possibilità di lavorare e guadagnare dei palestinesi colpiti. Cinquanta dei 389 edifici abbattuti erano stati assegnati ai palestinesi come aiuto umanitario, il che vuol dire, ha sottolineato McGoldrick, che «la distruzione si è scaricata sui più vulnerabili e ha gravemente danneggiato le operazioni di soccorso e di emergenza».
Ancora McGoldrick ha ribadito che «la distruzione di proprietà in un territorio occupato è vietata dalle leggi internazionali, a meno che non sia assolutamente necessaria per le operazioni militari. La pandemia ha fatto crescere ancora i bisogni e le fragilità dei palestinesi che già sono intrappolati nell’anormalità di un’occupazione militare apparentemente senza fine».
Non è che ci sia molto da aggiungere. Resta da chiedersi una cosa. Il nuovo disegno del Medio Oriente che Trump, dai miopi considerato inerte in politica estera, sta pian piano realizzando, prevede per i palestinesi qualcosa che non sia l’umiliazione totale prevista dal Piano di Pace presentato all’inizio del 2020? È meglio farsi questa domanda mentre si è ancora in tempo a portare qualche correzione. Perché in epoca contemporanea non è mai successo che umiliare un popolo abbia portato a una pace vera e duratura.
Perché Babylon
Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.
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Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com