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«A Gerusalemme, peggio che durante l’Intifada»

Eleonora Prandi
10 agosto 2020
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«A Gerusalemme, peggio che durante l’Intifada»
Irriducibili, alcuni negozianti del suq nella città vecchia di Gerusalemme non rinunciano a tener aperte le loro botteghe. (foto Olivier Fitoussi/Flash90)

Senza clienti stranieri, resta desolato il suq di Gerusalemme, in città vecchia. Un po' più animato, nei quartieri occidentali, il mercato ebraico di Mahane Yehuda. Il Covid-19 allarma sempre, ma forse potrebbero tornare i primi turisti.


II suq di Gerusalemme è in crisi a causa del coronavirus: i coloratissimi e caratteristici mercatini della città vecchia sono diventati una delle tante vittime della pandemia che rischia di cambiarne per sempre il volto.

L’estate vede solitamente migliaia di turisti da tutto il mondo affollarsi nei caratteristici vicoli e davanti alle bancarelle e ai negozi dei suq di Gerusalemme, empori che vendono articoli tra i più disparati: spezie, frutta, souvenir, prodotti di bellezza, quadri, monili e piccoli reperti storici.

Quest’estate, però, le serrande sono perlopiù abbassate: il Covid-19 ha costretto molti commercianti a chiudere e la chiusura permane ormai dal 15 marzo. «Normalmente, apriamo i nostri negozi alle 8 del mattino e li chiudiamo dodici ore dopo, alle 20, con ancora gente che affolla le strade», dice malinconicamente Abu Mohammad al-Ajrami, membro del Comitato dei negozianti di Gerusalemme al quotidiano The Times of Israel.

I negozianti di Gerusalemme non vedono ancora la luce in fondo al tunnel. Le autorità israeliane ha annunciato che l’aeroporto Ben Gurion rimarrà chiuso ai turisti stranieri ancora fino a fine settembre. In ogni caso chi è autorizzato ad entrare nel Paese deve sottoporsi a un periodo di quarantena.

«Stiamo morendo qui», dice allarmato al-Shawiri, che possiede un ristorante in città vecchia. «Ogni giorno avevo un guadagno pari a circa tremila dollari. Ora, al massimo, ne incasso 50».

La situazione è così catastrofica che, soprattutto i negozianti arabi della città vecchia, come afferma direttore della Camera di Commercio di Gerusalemme Est, Mazen al-Qaq «non hanno vissuto una crisi economica così devastante nemmeno durante la seconda Intifada (tra il 2000 e il 2004 – ndr). Allora c’erano esplosioni e bombardamenti, e ne eravamo profondamente influenzati, ma niente a che vedere con il danno economico che stiamo vivendo oggi».

I commercianti di Gerusalemme Est hanno denunciano di aver avuto scarsissimo sostegno anche da parte delle Autorità Palestinesi poiché i sussidi stanziati per i commercianti palestinesi, non hanno raggiunto la parte di Gerusalemme sotto il controllo di Israele.

Anche il mercato ebraico di Mahane Yehuda, nei quartieri occidentali di Gerusalemme, ha dovuto fare i conti con la pandemia: riaperto il 7 maggio, dopo grandi pressioni da parte dei commercianti, ora è sottoposto a rigidi protocolli per evitare sovraffollamenti e assicurarsi che tutti indossino la mascherina. La riapertura è avvenuta dopo tragici incidenti, quali una violenta rissa tra i commercianti e la polizia, e addirittura il suicidio di un negoziante che si è tolto la vita a causa della sua disperata situazione economica.

Tali Friedman, direttore dell’associazione dei commercianti di Mahane Yehuda intervistato da Kan News ha affermato: «Il governo deve stare al nostro fianco. Mi aspetto che il governo fornisca un aiuto adeguato ai negozianti che sono stati costretti a stare a casa per quasi due mesi, mentre i supermercati sono stati in grado di raddoppiare o triplicare i loro profitti».


I dati che allarmano i medici

(g.s.) – Dal 20 luglio scorso il coordinatore nazionale della lotta al Covid-19 in Israele è il professor Ronni Gamzu, ginecologo ed esperto di gestione della sanità pubblica, già direttore generale del ministero della Salute tra il 2010 e il 2014.

Il 5 agosto durante una riunione del Gabinetto coronavirus – il comitato interministeriale che si occupa della pandemia – Gamzu ha detto che il livello di morbilità (ossia l’incidenza della malattia sulla popolazione) resta preoccupante in Israele e che bisogna far di tutto per abbassarlo entro l’inizio di settembre.

Il medico ha osservato che in simili condizioni un altro Paese dichiarerebbe il lockdown, ma il governo ha deciso di non farlo per considerazioni di ordine socio-economico e per non creare ulteriori disagi a chi è già in gravi difficoltà. Per ora si adottano misure di contrasto parziali, ma il coprifuoco sanitario, in particolari aree o su tutto il territorio, non è escluso se la situazione non migliorerà visibilmente entro il 20 agosto.

Ad oggi, 10 agosto, i casi di Covid-19 ufficialmente censiti in Israele (fonte worldometers.info) sono 83.002 (9.024 su un milione), 395 versano in condizioni critiche, i morti ad oggi sono 600 (65 su un milione), mentre 57.533 persone sono guarite. Può essere utile un paragone con i dati dell’Italia: 250.566 casi (4.145 su un milione), 202.098 guariti, 35.205 morti (582 su un milione).

In Palestina, secondo l’agenzia ufficiale Wafa, i casi registrati sono 18.654 (14 in condizioni critiche), 104 i morti, 10.278 i guariti. Il focolaio che più preoccupa è attualmente l’area di Hebron con ancora 172 nuovi casi il 9 agosto.

Intanto si lavora all’idea di riaprire a molti più voli, dal 16 agosto, gli aeroporti israeliani. Saranno allentate le restrizioni, in vigore da marzo, per i passeggeri stranieri. Il Gabinetto coronavirus sta mettendo a punto i dettagli. Probabilmente, stando a quanto anticipa la stampa israeliana, il mondo verrà suddiviso in zone rosse e zone verdi. A chi proviene da Stati “verdi” sarà consentito l’accesso in Israele senza bisogno di sottoporsi a quarantena; a chi giunge da zone rosse sarà imposta una quarantena, forse di durata inferiore ai 14 giorni. Gli israeliani potranno riprendere a viaggiare sottoponendosi a un tampone entro 72 ore dal volo. Appositi laboratori d’analisi dovrebbero essere allestiti nell’aeroporto internazionale Ben Gurion (Tel Aviv).

 

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