Immacolata Dall’Oglio, Machi per gli amici e i familiari, cerca nella galleria delle immagini del suo telefono una foto che le è molto cara. Quando la trova, il suo volto si illumina in un largo sorriso: «Questa è la foto che ho mandato oggi a Yasmine. Ci ritrae insieme a Suleymania, in Iraq. Credo che questo viaggio, che Yasmine ha fatto con me e con Noura, sia stato come un prenderci per mano, una da una parte, una dall’altra». Immacolata si riferisce al documentario Ayouni (qui il trailer) e alla sua regista, che riservano ampio spazio a suo fratello Paolo.
Al 29 luglio 2020 sono trascorsi esattamente sette anni dal sequestro di Paolo Dall’Oglio, il padre gesuita che ha dedicato la vita alla predicazione cristiana e al dialogo con i musulmani in terra di Siria. Quel giorno di sette anni fa, Dall’Oglio, che si trova in una Raqqa non ancora completamente conquistata dallo Stato islamico (Isis) per sostenere la rivoluzione di piazza contro il presidente Bashar al Assad, tenta di mediare la liberazione di un giornalista rapito dall’Isis e si reca nel quartier generale della milizia, appena stabilito in città, per parlare con l’emiro Abu Luqman. Da quelle mura il gesuita italiano non uscirà più; secondo alcune testimonianze, non ci è mai neppure arrivato. In ogni caso, nessuno, dopo sette anni, sa esattamente dove sia finito.
Per Paolo, Bassel e gli altri 100mila
Dall’Oglio, che per tutti i siriani che lo amavano, indipendentemente dal loro credo religioso, era abouna (padre), è solo uno dei più di 100mila «scomparsi», inghiottiti nel nulla in nove anni di guerra siriana, ormai, e ai quali Yasmine Fedda ha dedicato il suo ultimo documentario, intitolato Ayouni, («Con i tuoi occhi»), uscito questo mese per il mercato internazionale e fruibile per la prima volta in Italia, dal 29 luglio, nello spazio virtuale del Middle East Film Festival di Firenze. «Credo che il fatto che il film parli di amore, quello tra una giovane coppia e quello tra fratelli, sia una via per creare connessioni ed empatia – dice la Fedda, che abbiamo raggiunto a Londra –. E penso sia anche il modo per aprire una discussione sulle sparizioni forzate in Siria».
La coppia a cui fa riferimento Yasmine Fedda è quella conosciuta nel 2011-2012 come «gli sposi della rivoluzione siriana»: Noura Ghazi Safadi, avvocata per i diritti umani, e Bassel Safadi Khartabil, sviluppatore informatico di open source, attivi nei primi due anni della rivolta di Douma contro il governo del presidente Bashar al Assad, si conobbero a una manifestazione, si fidanzarono e successivamente si sposarono mentre Bassel era detenuto nella prigione di Adra, dove la moglie poteva visitarlo. Nel 2015 Bassel sparì dalla sua cella e solo dopo molti anni Noura, nel frattempo riparata a Londra, verrà a conoscenza della sua condanna a morte ed esecuzione da parte di una corte militare dell’esercito siriano, qualche mese dopo la sua scomparsa. Tuttora non è riuscita a sapere dove si trovino i resti del marito. In Ayouni, Noura e Immacolata si incontrano per la prima volta, intrecciando i loro destini già collegati dalle scelte politiche dei loro cari e dalla sofferenza dell’attesa, dalla pervicace ricerca di una verità possibile, insieme a quelli di molte altre donne siriane unite del movimento Famiglie per la libertà, che dal 2017 chiedono giustizia internazionale. Fedda ha raccolto pazientemente in questi anni i momenti salienti della dolorosa ricerca delle due donne, le cui storie sono facce della stessa medaglia: «Entrambe le storie coprono aspetti differenti delle sparizioni in Siria. La maggior parte sono responsabilità delle forze governative siriane, ma molti altri gruppi armati, incluso lo Stato islamico, sono responsabili della sparizione di migliaia di persone. Nel caso di Raqqa in particolare, migliaia sono gli scomparsi, ma gli sforzi per avere informazioni su quanto accaduto loro, e di chi siano i corpi ritrovati nelle fosse comuni è molto difficile. Quindi è davvero importante insistere affinché queste informazioni vengano reperite e tutto venga documentato».
Le risposte che mancano
I familiari di Paolo Dall’Oglio su questo tema sono in prima linea: per la giornata del 29 luglio partecipano a una conferenza stampa nella sede romana della Federazione nazionale della stampa italiana (il sindacato unitario dei giornalisti), per fare il punto sulle indagini: la sparizione di Paolo è stata punteggiata in questi anni da informazioni frammentarie e contradditorie; l’ultima, basata su una testimonianza del 2019 – successiva alla liberazione di Raqqa del 2017 dallo Stato islamico da parte della Coalizione con comando curdo (Sdf) – e raccolta durante l’ultima battaglia di Baghouz, sosteneva che tra gli ostaggi dell’Isis ci fosse stato padre Paolo, come anche il noto giornalista britannico John Cantlie. Ma nessuna conferma della sopravvivenza di Paolo (oltre che di Cantlie) è stata trovata; così come, per contro, nessun indizio è stato rinvenuto sulla sua morte. Dalle 26 fosse comuni scoperte dal 2018 intorno a Raqqa sono stati riesumati finora 5.600 corpi e ancora oggi non è possibile sapere quante persone esattamente siano state uccise, in quali circostanze arrestate e/o rapite, come e dove siano i loro resti. Rispetto alle questioni poste dal giornalista Amedeo Ricucci (tra i fondatori dell’associazione Giornalisti amici di padre Dall’Oglio) nemmeno la Farnesina sembra aver chiesto alle autorità civili di Raqqa la ricerca delle spoglie di Paolo Dall’Oglio in quelle fosse comuni. Perché? Immacolata si fa portavoce di un’esigenza personale, ma anche collettiva: «Noi – intendo io e Noura – siamo un piccolo esempio tra migliaia di persone. E quanto è successo è uno scandalo dell’umanità, sul quale non si è ancora posta sufficiente attenzione. Il tema degli scomparsi in Siria è cruciale anche ai fini di un domani, per fare chiarezza sui crimini contro l’umanità, di cui ancora non si sa abbastanza, che sono stati compiuti e che sono ancora in atto in Siria. Le responsabilità ormai sono collettive. Se, al di là della vicenda di Paolo, ci sono fosse comuni con tante persone dentro di cui non si conosce l’identità, probabilmente dovrebbe essere un dovere collettivo dare un nome a quelle persone. Perché descrivere quei corpi con nome e cognome ci racconta ogni singola storia e ci aiuta a ricostruire il percorso della grande Storia, capire cosa sia successo e attribuire le opportune responsabilità. Perché prima o poi la Storia le responsabilità te le chiede. Presto o tardi la Storia i conti li fa. E questo vale anche per ciò che è successo e che succede nelle carceri più o meno ufficiali del regime siriano: anche qui, prima o poi, la Storia ti chiede sempre i conti».
Armi spuntate, a Roma come in Siria
Alla domanda su cosa chiedano i familiari di Paolo dall’Oglio e a chi, Immacolata irrompe in una risata amara: «Bella domanda: a chi? Non nascondo che tutte le strade percorribili, penso in maniera diversa, ognuno di noi ha provato a percorrerle. Si arriva a un momento in cui probabilmente sei consapevole, un po’ come i siriani, che le tue armi sono spuntate. Chi è in Siria ha le armi spuntate. Chi è andato fuori dalla Siria ha le armi spuntate. Non ci sono prospettive. La situazione di abbandono completo del popolo siriano credo che sia davanti agli occhi di tutti. Allora, anche se il film si chiude con una pagina aperta, e noi siamo pronti alle pagine aperte, Paolo è stato abbandonato, così come sono state abbandonate le persone per cui Paolo ha scelto di restare, con le quali ha scelto di stare».