Nel libro della Genesi (cap. 28) si narra del patriarca Giacobbe che, nel suo viaggio da Bersabea verso Carran, si ferma a dormire in un luogo chiamato Luz e durante la notte ha la famosa visione in sogno della scala che poggia sulla terra e arriva fino al cielo e degli angeli che vi salgono e scendono. Al mattino, al risveglio, Giacobbe esclama: «Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». E, dopo aver eretto e unto di olio la pietra che era servita da guanciale, chiama quel luogo Beth-’El, cioè Casa di Dio. Confesso che questo racconto mi ha sempre affascinato perché in esso, a mio avviso, è contenuta una delle definizioni più belle per descrivere quella terra: la porta del cielo.
La terra nella quale si muove Giacobbe – e che riconosce come luogo dove Dio abita – è la terra promessa con giuramento ad Abramo e alla sua discendenza. È la terra dove Dio continuamente si rivela e dove, nel discendere e salire degli angeli, avviene un continuo dialogo tra il cielo e l’uomo.
Mosè, dopo aver liberato il popolo dalla schiavitù egiziana, è chiamato da Dio a condurre i discendenti di Abramo verso una «terra buona e vasta, una terra dove scorre latte e miele» (Esodo 3,8). Dall’alto del monte Nebo Mosè vede il territorio promesso ma sarà il suo successore, Giosuè, a introdurre il popolo eletto nella terra di Dio. Il passaggio attraverso il fiume Giordano, all’asciutto, segna l’ingresso nella terra che il Dio dell’Alleanza aveva promesso ad Abramo, terra che drammaticamente, in seguito, sarà più volte tolta al popolo eletto.
Nel classico pellegrinaggio in Terra Santa, una tappa importante è rappresentata dal rinnovo delle promesse battesimali al fiume Giordano, nel luogo della memoria del battesimo di Gesù presso Qasr al-Yahud. In qualche modo il giorno del nostro battesimo anche noi abbiamo attraversato il Giordano e siamo entrati nella terra santa, non in senso fisico e geografico, ma attraverso l’incorporazione a Cristo frutto della sua Pasqua.
La terra promessa, dopo la passione, morte e risurrezione di Cristo, non è più un luogo identificabile attraverso delle coordinate spaziali, ma è l’effettiva possibilità di «abitare» in Cristo, «dimorare» in Lui, appartenere a Lui, in qualsiasi punto del nostro pianeta. Il battesimo ci rende partecipi della stessa vita divina di Cristo che nella Pasqua ha realizzato una nuova creazione.
San Gregorio di Nissa, parlando della risurrezione di Gesù, afferma che nel primo giorno dopo il sabato Dio realizza un cielo nuovo e una terra nuova: «E quale cielo? Il firmamento della fede in Cristo. E quale terra? Un cuore buono […] In questa creazione il sole rappresenta una vita pura, e le stelle le virtù; l’aria una buona condotta […] Le erbe e i germogli sono la buona dottrina e la sacra Scrittura, di cui si pasce il popolo, gregge di Dio. Le piante da frutta poi rappresentano l’osservanza dei comandamenti».
Per il cristiano, dunque, ogni luogo può diventare «santo», casa di Dio, porta del cielo perché tutto può diventare occasione per amare Dio che non vediamo attraverso l’amore al prossimo che vediamo. Nel momento della morte in croce di Gesù, il velo del Tempio si squarcia da cima a fondo. Il velo che segnava la separazione tra il Santo dei Santi e il resto del mondo viene strappato cancellando, di fatto, il confine che «costringeva» Dio in un solo luogo, in un solo punto della terra. Il nuovo tempio, ricostruito in tre giorni, è il corpo di Gesù Cristo al quale veniamo incorporati nell’attraversare le acque del fiume Giordano del nostro battesimo.
Ogni tanto vado a rileggere il libro del filosofo Fabrice Hadjadj, nato a Nanterre (Francia) da genitori ebrei di origini tunisine e convertitosi al cattolicesimo, dal titolo La terra strada al cielo, dove afferma che se il cielo sopra le nostre teste ci sembra vuoto, senza più nulla da dirci, è perché, in realtà, non guardiamo abbastanza dove mettiamo i piedi. «Dio è presente ovunque sulla terra, e specialmente, con la sua grazia, nei cuori miti e umili. Poiché è l’Altissimo, Egli è anche l’Infinitamente Basso. Poiché è il Trascendente, Egli è anche l’Onnipresente. Gli umili e i docili sanno che Egli fa sì che tutto concorra al loro Bene, che il sassolino nella scarpa, la pozzanghera, lo scoglio e il pantano sono, per così dire, l’anticamera della sua santa Dimora. Perciò si abbandonano alla sua Volontà. E, dove questa Volontà si compie, noi viviamo sulla terra come fossimo in cielo».
(* Commissario di Terra Santa per il Nord Italia)
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