Sono tornati popolari durante le settimane di isolamento imposte per contenere la pandemia da coronavirus, ma le autorità locali di Alessandria d'Egitto e del Cairo considerano gli aquiloni una minaccia alla sicurezza. Multati i possessori.
Vi ricordate Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini, il libro – e poi film – più famoso sull’infanzia (e sulla guerra) in Afghanistan? Bene, dimenticatevi simili scenari poetici in Egitto perché, da qualche giorno, le autorità locali di Alessandria e del Cairo hanno vietato la produzione e il possesso di aquiloni. Tutto è cominciato così: la polizia egiziana ha sequestrato 369 aquiloni al Cairo il 10 luglio e 99 ad Alessandria, multando i possessori per 300 sterline egiziane (oltre 16 euro, che diventeranno mille sterline in caso di recidiva) dopo un divieto emanato da parte di un governatore della regione del Nord Egitto per motivi di «sicurezza» e l’avvertimento di un deputato che aveva posto sulla faccenda l’ipotesi di «minaccia alla sicurezza nazionale», in quanto vi potrebbero essere nascoste telecamere per spionaggio. La notizia è stata riferita dai quotidiani nazionali Al-Ahram, e Akhbar Al-Youm.
La misura, a dir poco stravagante, è stata introdotta dal governatore di Alessandria e ribadito sulla pagina Facebook ufficiale dell’istituzione, dopo che, durante il coprifuoco notturno, a causa della pandemia da coronavirus, molti giovani si sono inventati il gioco degli aquiloni da balconi e terrazzi, molto ben raccontato anche da media internazionali come il Los Angeles Times. In molti hanno esagerato con le acrobazie, tanto che ci è scappato qualche morto e altrettanto numerosi sono stati i casi di caduta di giovani dai piani alti degli edifici.
La faccenda non ha mancato di causare ironie e cascate di commenti sui social media, in particolare contro il deputato «complottista», Khaled Abu Taleb, un membro del Comitato per la difesa e la sicurezza nazionale del parlamento, che già dal mese scorso voleva che il primo ministro fosse informato sui pericoli degli aquiloni perché rappresentavano «una minaccia alla sicurezza nazionale».
Intanto il coprifuoco notturno della durata di tre mesi stabilito dal governo egiziano per limitare la diffusione del coronavirus è stato revocato lo scorso giugno. I casi di Covid-19 nel Paese, però, continuano a salire: siamo ad oltre 80mila infezioni dichiarate e quasi 4mila decessi.
Perché Diwan
La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.
Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.
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Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen).
Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24, Tv2000), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu).
Ha girato, autoprodotto e venduto vari video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).