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Il nucleare iraniano sotto tiro

Elisa Pinna
12 luglio 2020
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Vari incidenti nelle ultime settimane hanno causato seri danni a impianti industriali collegati alla produzione di energia nucleare in Iran. Teheran sospetta di Usa e Israele, ma non alza i toni.


Il mistero si infittisce sull’esplosione di Natanz, cyber-attacco o commando?

L’unica cosa certa è che nel cuore della notte del 2 luglio scorso una forte esplosione ha scosso e in parte distrutto il sito nucleare iraniano di Natanz, nel mezzo del deserto tra Teheran e Isfahan. Nei giorni scorsi si è parlato molto di un cyber-attacco, sferrato – hanno pensato subito in molti – da Israele con l’appoggio degli Stati Uniti. Certe ammissioni a mezza bocca di generali e politici dello Stato ebraico hanno incoraggiato le illazioni su uno sfondamento devastante israeliano via internet, prima che le autorità centrali israeliane imponessero il silenzio sulla vicenda.

Nel frattempo, un gruppo sconosciuto, che si autodefinisce I ghepardi della Patria, è entrato in scena, rivendicando l’«attentato». In un comunicato inviato attraverso l’applicazione di messaggistica istantanea Telegram, i «ghepardi» dicono di essere ex agenti dell’intelligence e della sicurezza iraniani e di voler rovesciare la Repubblica islamica. Affermano di aver pianificato altri attacchi. La rivendicazione potrebbe essere tranquillamente relegata a un depistaggio o ad una fake news, se non vi fosse anche un quotidiano semiufficiale iraniano, Hamshari, che – unica voce in un silenzio imbarazzato dei media della Repubblica islamica – parla di un atto perpetrato da un gruppo di sabotatori, data la gravità e la tipologia dei danni. «Gli assalitori – riferisce la testata – hanno raggiunto il sito di Natanz alle 2 di notte attraverso il deserto, approfittando dell’oscurità». «Probabilmente – si spinge a ipotizzare il giornale – non volevano causare né vittime umane, né fughe radioattive».

Nei giorni precedenti e successivi all’attacco di Natanz, una serie di incendi e di incidenti vari ha colpito diverse infrastrutture iraniane, provocando morti e feriti, in una sequenza imprevedibile ed erratica. Il mistero su cosa stia succedendo in Iran, se ci siano legami tra i vari eventi e, soprattutto, su chi e come abbia attaccato Natanz, uno dei siti nucleari strategici per l’arricchimento dell’uranio, continua ad infittirsi. Natanz era stato fra l’altro colpito nel 2010, da un virus informatico devastante, lo Stuxnet, di matrice israelo-statunitense. I cyber-attacchi erano cessati dopo l’accordo sul nucleare tra Iran e potenze occidentali nel 2015, ma le tensioni sono tornate al massimo livello, dopo l’uscita unilaterale degli Stati Uniti di Donald Trump dal patto internazionale e la reimposizione di un durissimo embargo economico contro l’Iran. La Repubblica islamica, che aveva ottemperato agli impegni presi fino alla giravolta dell’amministrazione statunitense, ha ripreso il programma per l’arricchimento dell’uranio e l’uso del nucleare, ufficialmente per scopi civili e non bellici.

Il Supremo consiglio per la sicurezza nazionale della Repubblica islamica, presieduto formalmente dal capo dello Stato, Hassan Rouhani, ma sotto il controllo della guida suprema religiosa, Ali Khamanei, ha fatto sapere di «conoscere la causa dell’incidente di Natanz» ma che «per ragioni di sicurezza» non può divulgarla e sarà resa nota al «momento opportuno». Riguardo agli altri “incidenti” le autorità iraniane hanno minimizzato, attribuendoli a cause accidentali: l’esplosione avvenuta il 7 luglio in una fabbrica alla periferia di Teheran, l’ultima in ordine di tempo, è stata spiegata con un errore umano; fughe di gas avrebbero invece provocato le esplosioni in una clinica medica di Teheran, in una base militare ad est della capitale, in una centrale energetica nella città sudoccidentale di Ahwaz, e in un’azienda petrolchimica nel porto meridionale di Mahshahr.

«L’esplosione di Natanz ha tutta l’aria di essere un avvertimento da parte di Israele o degli Stati Uniti o di entrambi per dirci: vi siamo vicini, con il fiato sul collo», ha detto un analista iraniano, vicino ai riformisti e rimasto anonimo, al Financial Times. Non appare, in questo momento, interesse di Teheran alzare il livello di scontro, sia per le difficoltà interne (coronavirus, depressione economica) sia per la speranza in una sconfitta di Trump nelle prossime elezioni presidenziali di fine anno in America, e, quindi, in una possibile riapertura di canali negoziali. Tuttavia, sul sito iraniano Nournews, vicino al Supremo consiglio per la sicurezza nazionale, si scrive che se «Israele fosse dietro l’attacco, ciò mostrerebbe un “cambio strategico” nel comportamento degli Stati Uniti e di Israele verso la Repubblica islamica, ovvero un ingresso nell’area ristretta dell’Iran e un superamento di ogni linea rossa». «Ciò porterebbe a “cambiamenti fondamentali” nella regione».

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