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Armenia e Azerbaigian, lo scontro mai risolto

Giuseppe Caffulli
24 luglio 2020
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Armenia e Azerbaigian, lo scontro mai risolto
Shusha, un villaggio del Nagorno Karabakh dove nell'Ottocento coabitavano armeni cristiani e azeri musulmani. Nel 1992 l'Azerbaigiain lo perse a favore dell'Armenia e da allora è abitato solo da Armeni. Nell'immagine, il minareto restaurato della locale moschea chiusa.

Le due repubbliche caucasiche, in rapporti tesi per il Nagorno Karabakh dalla guerra dei primi anni Novanta, si sono affrontate a metà luglio lungo il confine. E rischiano di accendere un conflitto in cui si mescolano interessi geopolitici più grandi di loro.


Un anno e mezzo fa, a Vienna, si era tenuto il primo vertice ufficiale tra un premier armeno e un presidente azero, nel quale era stato deciso un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati sull’annosa questione del Nagorno Karabakh (l’Alto Karabakh o Artsakh, per gli armeni, teatro di una guerra tra 1992 e 1994 che fece migliaia di morti). Ma dal 12 luglio, tra Azerbaigian e Armenia, il conflitto armato è ripreso con perdite da entrambe le parti (finora una ventina in totale). Si tratterebbe dell’escalation peggiore di sempre. E restano inascoltati gli appelli della comunità internazionale ai leader dei due Paesi. L’Unione Europea, per esempio, ha esortato entrambe le parti a «fermare lo scontro armato», mentre il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiesto la «fine immediata dei combattimenti» e il ritorno ai negoziati.

A dire la verità, nei diciotto mesi trascorsi dal vertice di Vienna non si erano fatti significativi passi avanti nel negoziato. La parte azera ha sempre insistito per la sovranità dell’Azerbaigian sul Nagorno Karabakh, mentre la parte armena ha sempre puntato rivendicare come armena l’enclave abitata in prevalenza da azeri.

Gli scontri dei giorni scorsi sono iniziati Tovuz (in azero, Tavush in armeno), al confine tra Armenia e Azerbaigian. Il teatro dei combattimenti è insolito, poiché gli scontri si accendono di solito sul territorio contestato del Nagorno Karabakh. E Tovuz/Tavush è invece a nord-est dell’Armenia, al di fuori dei territori contesi. Ciascuna parte accusa ovviamente l’altra di aver dato il via ai combattimenti.

Come già accennato, le trattative di pace non sono mai davvero decollate. Ed ora più che mai il timore è che nella regione si possa aprire un ennesimo conflitto per procura intorno a interessi geopolitici. L’Armenia, infatti, è sostenuta dalla Russia; l’Azerbaigian è invece alleato della Turchia. Nonostante sullo scacchiere mediorientale Russia e Turchia abbiano di recente stretto accordi strategici (in Siria, per esempio), resta forte l’antagonismo tra Ankara e Mosca su alcune partite, specie in aree ex-sovietiche dove però la Turchia conta di poter estendere la sua influenza.

Nel grande gioco del controllo dette risorse energetiche, Tovuz/Tavush gioca un ruolo non marginale. Nel distretto azero di Tovuz passa il gasdotto del Caucaso meridionale, che convoglia il gas naturale dall’Azerbaigian al gasdotto Tanap della Turchia. Da anni la Turchia cerca di ridurre la propria dipendenza energetica dalla Russia e diversificare le proprie risorse, nonché di abbassare i costi. Nel 2021 scadrà l’accordo di 25 anni che impegnava la Turchia a comprare il gas russo, e le possibilità che la Turchia lo rinnovi sono scarse. Il tutto in una logica di progressivo affrancamento di Ankara dalla dipendenza energetica (e quindi anche politica) dalla Russia di Putin.


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