Diversi studi condotti da Adl (Lega antidiffamazione), dai ricercatori dell’Università di Tel Aviv e, in Italia, dall’Osservatorio antisemitismo e l’Osservatorio Mediavox dell’Università Cattolica mostrano come gli attacchi antisemiti siano aumentati nel periodo della pandemia di Covid-19. Che l’antisemitismo fosse un problema in forte crescita nel mondo lo dimostravano i dati raccolti a partire dal 2018 dall’Università di Tel Aviv, in seguito all’attacco alla sinagoga di Pittsburgh, negli Usa, in cui morirono 11 persone. Dalle ricerche che sono seguite dall’attentato, i ricercatori hanno individuato un aumento del 13 per cento delle aggressioni antiebraiche e l’epicentro di queste violenze è stato individuato negli Stati Uniti, dove si sono verificati un quarto degli episodi denunciati.
L’avvento del Covid-19 ha poi alimentato complottisti e sostenitori delle cospirazioni: terreno di attacchi antisemiti è stato il Web, soprattutto le reti sociali. Giovanni Quer, direttore accademico dell’Istituto Kantor ha spiegato in una conferenza stampa tenutasi ad aprile e dedicata al problema, che «vi è stato un drammatico aumento dell’odio antisemita online in tutto il mondo, il che rappresenta una minaccia per il futuro. Ciò fa riflettere anche sull’impatto dei discorsi d’odio sulla realtà: ciò che avviene su internet non rimane su internet».
Moshe Kantor, presidente del Congresso ebraico europeo, ha poi aggiunto, come riportato dal sito Progetto Dreyfus: «Dall’inizio della pandemia, si è registrato un aumento significativo delle accuse secondo cui gli ebrei, sia come individui sia come collettivo o come Stato ebraico, sarebbero dietro alla diffusione del virus o ne trarrebbero direttamente profitto. Il linguaggio e le immagini utilizzate indicano chiaramente un revival delle “calunnie del sangue” di stampo medievale, quando gli ebrei venivano accusati di diffondere malattie, avvelenare pozzi o controllare le economie».
Bet Magazine Mosaico, sito ufficiale della Comunità ebraica di Milano, riporta poi uno studio ad opera della Lega antidiffamazione, che a metà marzo ha pubblicato un approfondimento che elenca le teorie cospirazioniste, diffuse prevalentemente negli Stati Uniti, le quali legano gli ebrei alla diffusione del coronavirus.
La maggioranza delle immagini antisemite negli Usa, afferma lo studio dell’Adl, si trovano su siti o reti sociali: Twitter, Telegram e 4chan. Anche il social più diffuso tra i giovanissimi, TikTok, non è esente dall’essere veicolo di alcune voci d’odio come quelle dei membri dell’Atomwaffen Division, neonazisti americani al centro di inchieste per omicidi; la giornalista canadese suprematista Faith Goldy; il leader dell’organizzazione di estrema destra Britain First, Jim Dowson. Tutti lanciano messaggi che riconducono il virus a una radice «semita».
Non solo Stati Uniti, quindi. Sempre Bet Megazine Mosaico parla di «400 episodi verificatisi internazionalmente in pochi mesi, dalla Francia, alla Spagna, dalla Gran Bretagna, alla Polonia, dall’Ucraina al Venezuela. Ma a livello europeo a vincere il primato negativo di attacchi antisemiti, virtuali e fisici, è la Germania».
La situazione in Italia
Anche nel nostro Paese la situazione è grave e ne sono un esempio i due episodi verificatisi a gennaio, pochi giorni prima la Giornata della Memoria, a Noto (Siracusa), e a Mondovì (Cuneo). Se a Noto scritte antisemite e una svastica erano state tracciate su una sede scout, a Mondovì l’oggetto dell’attacco è stata la casa di Aldo Rolfi, figlio di Lidia Beccaria Rolfi, partigiana deportata a Ravensbruck nel 1944, sfregiata con la scritta Juden hier (qui ebrei).
Milena Santerini, docente di Pedagogia e responsabile di Mediavox, su CattolicaNews illustra lo studio realizzato dall’Osservatorio dell’Università Cattolica in collaborazione con il Centro di ricerca sulle Relazioni internazionali dello stesso ateneo. «La ricerca – afferma Santerini – ha analizzato tra il 1° marzo e il 31 maggio 900 tweet scelti casualmente da esperti di antisemitismo. Il 16,3 per cento dei tweet conteneva messaggi di odio verso Israele».
«Molto dell’antisemitismo e dell’intolleranza nei confronti degli ebrei – e anche di altre categorie spesso discriminate– si sviluppa come Hate speech, termine che nasce proprio a indicare il discorso d’odio che si realizza sul web – afferma Betti Guetta, responsabile dell’Osservatorio antisemitismo, ai microfoni di Radio Radicale –. In relazione a ciò, l’Unione Europea ha effettuato molte pressioni su Twitter e Facebook, spronando i due colossi a intervenire, eliminando i messaggi di odio, ma gli “odiatori seriali” possono sempre andare altrove – continua Guetta –. Una volta che questi individui non trovano più spazio su Facebook perché bannati, si trasferiscono per esempio su Bookapp, l’equivalente russo del social di Zuckerberg». La responsabile dell’Osservatorio aggiunge che in Italia «abbiamo notato anche la presenza superiore di ragazzi più giovani che banalizzano o irridono la Shoah nel web, usando chat su Whatsapp o Facebook».
Milena Santerini conclude: «Se l’antisemitismo di ispirazione nazista è oggi appannaggio di gruppi organizzati con ideologie radicate in quel periodo buio del Novecento, sui canali social il fenomeno è culturale. È legato al periodo politico e di pandemia che stiamo vivendo. […] E quando odiatori anonimi cercando un bersaglio, anche per una pandemia globale, ecco che rispuntano gli ebrei come capro espiatorio».
Esiste tuttavia uno spiraglio di speranza. Tanto la responsabile dell’Osservatorio antisemitismo quanto il presidente del Congresso ebraico europeo si dicono ottimisti: seppure la situazione sia preoccupante e necessiti di una sorveglianza costante, si registrano, d’altra parte, «un’attenzione sul tema e novità positive e soprattutto una maggiore partecipazione e un maggiore impegno da parte delle istituzioni pubbliche e delle forze dell’ordine nel combattere ogni forma di antisemitismo e nel proteggere le istituzioni ebraiche».