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In Arabia riaprono le moschee, aumentano i divorzi

Laura Silvia Battaglia
12 giugno 2020
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Anche la preghiera comunitaria nei luoghi di culto dell'Arabia Saudita ora dovrà svolgersi nel rispetto di nuove norme di sicurezza sanitaria. La pandemia ha pure fatto emergere molti casi di poligamia. Le mogli fin qui ignare ora chiedono il divorzio.


In Arabia Saudita le autorità hanno deciso un giro di vite senza sconti su coloro che trasgrediscono l’obbligo di distanziamento fisico imposto per contrastare il diffondersi del contagio da coronavirus. Poco vale se la motivazione addotta sia pia e religiosa: gli assembramenti restano vietati, anche se frutto delle migliori intenzioni.

L’avvertimento è stato diffuso dal governo saudita dopo che on line sono diventate virali le immagini di gruppo di fedeli che praticavano la preghiera del venerdì sul tetto di una moschea nel governatorato di Al Aridhah, nella regione meridionale di Jizan, al confine con lo Yemen. La conseguenza sarà una punizione – non solo in denaro – per i trasgressori. «Nessuna preghiera è consentita sui tetti delle moschee. Questo atto è inammissibile e verranno intraprese procedure legali contro chiunque lo faccia», ha dichiarato Mohammad Bin Abdu, portavoce della sezione di Jizan del ministero degli Affari islamici. Abdu ha aggiunto anche che i tetti di tutte le moschee verranno chiusi per evitare il ripetersi di fatti simili.

Contemporaneamente, il ministero prevede anche di aprire altre moschee a Jizan, con l’obiettivo di raggiungere un totale di mille strutture aperte nella seconda fase del lockdown, per scongiurare l’affollamento delle poche attive durante la preghiera del venerdì. La misura è in linea con quanto stabilito nel Regno dei Saud dalla scorsa settimana, quando hanno riaperto tutte le moschee, tranne la Mecca. Chi partecipa alle preghiere di gruppo nelle moschee deve comunque rispettare un decalogo di nuove prescrizioni. Tra le quali ci sono le seguenti: le moschee apriranno solo 15 minuti prima dell’adhan (il richiamo alla preghiera – ndr) e chiuderanno 10 minuti dopo la fine della preghiera, con l’intervallo tra l’adhan e l’inizio della preghiera ridotto a 10 minuti; la distanza fisica stabilita tra i fedeli è di due metri; ai minori di 15 anni è vietato l’accesso alle moschee come misura preventiva; i bagni e i luoghi di abluzione all’interno delle moschee sono chiusi; è vietata la distribuzione di acqua e cibo; allo stesso modo, le lezioni in moschea e gli incontri di memorizzazione del Corano sono sospesi. Infine, all’ingresso di ogni luogo di culto è obbligatorio farsi controllare la temperatura corporea.

Se il distanziamento sociale vale dunque anche nell’esercizio pubblico della fede, nel campo del diritto familiare il Covid-19 ha dato una spallata ai rapporti troppo stretti. Così come in Cina, anche in Arabia Saudita i divorzi sono aumentati del 30 per cento. Secondo il quotidiano locale Okaz, che cita uno studio statistico, gran parte dell’aumento dei divorzi sarebbe dovuto alla decisione delle donne saudite che hanno scoperto, durante il periodo di blocco, che i loro mariti avevano sposato una seconda moglie in segreto. In realtà, la tendenza alla poligamia finora è stata relativamente comune nel regno, e sempre confinata agli strati più alti e abbienti della società, ma il cambiamento delle dinamiche sociali è prepotente e le donne respingono sempre più l’ipotesi di condividere il proprio uomo con altre.

In totale, a febbraio, ci sono stati 7.482 divorzi, nel mese in cui sono stati applicati per la prima volta il coprifuoco e le restrizioni di viaggio. Dopo una fase di stallo nei mesi seguenti, a causa della sospensione dell’attività giudiziaria per l’epidemia, la richiesta di atti di divorzio si è triplicata, con una maggioranza di richieste nelle città della Mecca e di Riyadh. Diversamente dall’emirato di Dubai, in cui le procedure di matrimonio e di divorzio sono state rese elettroniche durante i mesi di lockdown, in Arabia Saudita l’amministrazione della giustizia è ancora del tutto tradizionale. Per divorziare con un clic bisognerà dunque attendere la rivoluzione totalmente digitale promessa dal principe Mohammed bin Salman nel 2030.

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