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Il dramma dei suicidi nell’Iran in crisi

Elisa Pinna
14 giugno 2020
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Le statistiche rilevano una tragica impennata dei casi di suicidio in Iran. La povertà diffusa, l'assenza di prospettive, gli orizzonti cupi, le sanzioni Usa... Molti elementi alimentano il disagio della popolazione.


In 35 stazioni della metropolitana di Teheran saranno innalzate barriere di vetro lungo il bordo delle piattaforme, alte dal pavimento al soffitto, per impedire ai passeggeri di tentare il suicidio buttandosi sotto i treni in arrivo. La notizia, apparsa nei giorni scorsi sul sito ufficiale iraniano Ifp News ha il tono di una comunicazione di servizio e colpisce come un sasso perché lascia intravedere il collasso psicologico di un Paese che combatte ormai su troppi fronti: dal coronavirus che continua a dilagare al ritmo di oltre duemila nuovi contagi al giorno, con un record di 3.500 il 4 giugno, allo strangolamento economico imposto dalle sanzioni volute dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump; da una delle peggiori recessioni dai tempi della Rivoluzione (1979) ad una sovraesposizione internazionale non più sostenibile (tra Siria, Iraq, Afghanistan, Libano).

Ecco che togliersi la vita è diventata una soluzione o una forma di protesta per tanti, troppi cittadini iraniani. I suicidi o i tentativi di suicidio in Iran si sono impennati negli ultimi anni, un fenomeno raro per un Paese mediorientale e islamico. I dati globali più recenti forniti dal ministero della Sanità iraniano risalgono all’anno persiano marzo 2018 – marzo 2019, prima della pandemia, ma già in piena crisi economica e in un clima di quasi guerra alimentato dalla politica di «massima pressione» del presidente Trump.

In un rapporto firmato dalla responsabile della sezione Prevenzione suicidi, Maryam Abbasinjad, si parla di 100 mila suicidi o tentati suicidi in dodici mesi, su una popolazione di 80 milioni di persone. Nel rapporto si spiega che dal 2015 al 2019, l’incidenza dei suicidi, riusciti o falliti, era salita da 90 persone ogni 100 mila a 125 persone ogni 100 mila. Una cifra spaventosa anche se, in mancanza di una distinzione tra suicidi portati a termine e potenziali, rimane difficile fare un confronto con le statistiche di altri Paesi, dove i dati guardano solo a chi si è effettivamente tolto la vita. Lì le punte massime arrivano a 30-35 suicidi ogni 100 mila abitanti, come nei casi della Groenlandia, della Guyana o della Lituania.

Non c’è dubbio però che in Iran il suicidio sia diventato un dramma collettivo, una forma – come afferma qualche funzionario della Sanità – di epidemia parallela al coronavirus. A togliersi la vita – spiegava il rapporto del 2019 – sono soprattutto persone con problemi economici, senza lavoro, spesso nella povertà assoluta. Il 73 per cento dei suicidi viveva nelle baraccopoli delle grandi città, soprattutto a sud di Teheran, ai margini del deserto, oppure nelle regioni occidentali e meridionali del Paese, ormai ridotte alla fame e a una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Ci sono però anche giovani, studenti, una maggioranza di donne. Alle motivazioni economiche si aggiunge qualcosa di ancora più profondo, un filo che si è spezzato. All’orgoglio nazionale si sta sostituendo la disillusione: l’Iran è percepito come un Paese senza più promesse, senza felicità, senza sicurezze sociali e prospettive. Secondo dati del ministero della Sanità iraniano, un quarto della popolazione complessiva, e un terzo della popolazione di Teheran, soffre di depressione e di «problemi mentali».

Nella metropolitana della capitale, 300 chilometri di linee, viaggia ogni giorno una popolazione di un milione di passeggeri. Pochi per una città attraversata da 17 milioni di abitanti. Chi può ancora permetterselo, usa la macchina, una sorta di status symbol per gli iraniani. In metro si incontra un’umanità varia, composta per lo più da poveri, venditori ambulanti, studenti, bambini che chiedono la carità. Nella folla che non conosce il distanziamento sociale, si mettono a fuoco i volti della disperazione, di quelli che non ce la fanno più. Il colonnello Saeed Ataollahi, comandante della polizia della metropolitana cittadina, racconta a Ifp News che i suoi uomini vigilano 24 ore al giorno, 7 giorni a settimana, ed hanno salvato tante persone dalla morte. Ora però servono nuovi mezzi contro i suicidi. Una vetrata potrebbe non bastare. L’onda dei disperati della metro si dirigerà altrove. Del resto – a leggere i trafiletti di cronaca dei giornali iraniani degli ultimi giorni – ci sono intere famiglie che si suicidano con il veleno per topi, c’è chi si lancia dal ponte dei 33 archi di Isfahan, chi -come un bambino di 12 anni- si impicca perché la sua bicicletta è stata venduta per pagare l’affitto di casa e chi, in un’ultima ed estrema sfida alla vita e al regime iraniano, si dà fuoco in mezzo ad una piazza.


 

Perché Persepolis?

La città di Persepolis era il centro del mondo prima di Alessandro Magno e di Roma. Era simbolo di una stagione di convivenza e integrazione culturale per quell’immensa regione che chiamiamo Medio Oriente. Oggi le rovine della capitale politica dell’antico Impero Persiano si trovano nel cuore geografico di un’area che in pochi decenni ha visto e vede guerre disastrose, invasioni di superpotenze esterne, terrorismo, conflitti latenti e lacerazioni interne all’islam: eventi che sfuggono alle semplificazioni con cui spesso in Occidente si leggono le vicende di quel quadrante geografico e che richiedono pazienza nel ricercare i fatti e apertura nel valutarne le interpretazioni. È ciò che si sforzerà di fare questo blog, proponendo uno sguardo ravvicinato sulla cultura, la società, l’economia, la religione, le radici identitarie dell’Iran e dei territori a forte componente sciita, compresi tra il Mediterraneo e Hormuz, tra lo Yemen e l’Asia Centrale.

Elisa Pinna, giornalista e scrittrice, è stata vaticanista, inviata per il Medio Oriente e corrispondente da Teheran per l’agenzia Ansa, oltre che collaboratrice di diverse testate italiane. Ha scritto libri sul pontificato di papa Benedetto XVI, sulle minoranze cristiane in Medio Oriente, sull’eredità dell’apostolo san Paolo. Con le Edizioni Terra Santa ha pubblicato Latte, miele e falafel: un viaggio tra le tribù di Israele e contribuito a Iran, guida storica–archeologica.

 

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