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Luce sulle vetrate di Nazaret

Guillaume Genet
26 maggio 2020
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Benché la inondino di riflessi colorati, le 53 vetrate della basilica superiore dell’Annunciazione a Nazaret sono poco conosciute. Cinquant’anni dopo l’inaugurazione della basilica, cerchiamo di saperne di più sulla loro storia e sugli artisti che le realizzarono


Impossibile non notarla. Con i suoi 40 metri di altezza, la basilica dell’Annunciazione svetta tra le case di Nazaret, il villaggio che ha visto crescere Gesù. Progettata dall’architetto italiano Giovanni Muzio, la chiesa nel 2019 ha festeggiato il cinquantesimo anniversario dalla consacrazione. Se i lavori iniziarono nel 1965, l’idea di costruire un nuovo santuario risale al 1958, in occasione del primo centenario dalla proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione.

L’apparato decorativo interno che la impreziosisce fu realizzato secondo due linee guida principali. Anzitutto, la Custodia di Terra Santa intendeva coinvolgere artisti da tutto il mondo, affinché il santuario diventasse un monumento internazionale di devozione a Cristo e a Maria sua madre. Ma voleva anche che ogni pellegrino, qualunque fosse la sua nazionalità, potesse trovare a Nazaret un riflesso del sentimento devozionale e dello stile artistico del proprio Paese.

Oggi non è insolito vedere turisti e pellegrini aggirarsi nel chiostro o nella basilica superiore alla ricerca della rappresentazione mariana offerta dal proprio Paese. Una ricerca che avviene nella penombra riccamente variopinta dell’edificio, grazie ai giochi di luce di due artisti europei: lo svizzero Yoki (Émile) Aebischer (1922-2012) e il francese Max Ingrand (1908-1969).

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Allo svizzero dobbiamo le sedici vetrate del tamburo della cupola. Raffigurano i dodici Apostoli, i genitori della Vergine, Gioacchino e Anna, e i due dottori della Chiesa che furono tra i massimi cantori delle lodi alla Madonna: Efrem il Siro per l’Oriente e Bernardo di Chiaravalle per l’Occidente.

Al francese spettò invece l’impresa di lavorare a qualcosa come 45 finestre, oltre alla grande vetrata nella facciata ovest (che da sola ne conta ben 25).

Questa vetrata in fondo alla chiesa, a forma piramidale, è l’opera più importante da lui realizzata nel complesso, oltre che la più accessibile alla contemplazione dei pellegrini. Intitolata, in maniera molto sobria, L’Annunciazione, la composizione crea un tutto che raffigura il fiat di Maria la quale, nell’umiltà del suo «sì», accetta la volontà di Dio trasmessa dall’angelo. L’insieme è come una torre illuminata da un cielo nero, quando la luce è tenue.

Nella navata Ingrand realizzò anche una serie di vetrate dai colori chiari, i cui soggetti gli furono imposti. La rappresentazione dei martiri francescani sembra aver «ingabbiato» la sua espressività. Al contrario, nella serie raffigurante le litanie della Vergine ritrovò tutta la sua libertà. Specchio dell’universalità della Chiesa, molti altri artisti diedero il loro contributo alla realizzazione dell’edificio. Oltre a quelle di Max Ingrand e Yoki Aebischer, nella basilica inferiore si contano anche opere del maestro vetraio Lydia Roppolt (Austria). Inoltre, lungo le scale a chiocciola che collegano le due chiese – superiore e inferiore – si possono ammirare due serie di vetrate del frate francescano Alberto Farina. Ma se è vero che la basilica colpisce per la sua suggestiva luminosità, nondimeno essa non può ridursi solo alle sue vetrate colorate e ai suoi maestri vetrai. Claude Lafleur, artista del Québec, è autrice di diverse ceramiche, mentre allo scultore belga Camille Colruyt spettano alcune figurine in rame del baldacchino della Grotta e l’altare principale della chiesa superiore. In totale qualcosa come 43 artisti di 23 diverse nazionalità hanno contribuito ad abbellire questo luogo. Un bel mosaico che riflette l’universalità della Chiesa.

Max Ingrand, nell’imponente edificio, voleva trasmettere il mistero dell’Annunciazione e illuminare – sia in senso proprio che figurato – il cuore dei fedeli. In una lettera del 2 maggio 1969, il maestro vetraio francese esprimeva tutta la sua passione, ma anche i suoi dubbi e timori, riguardo all’incarico che gli era stato affidato. «Si trattava di creare l’atmosfera dell’edificio, di contribuire a dargli vita, di far sì che la luce diventasse sorgente di colore e di mistero». Spiegava altresì la tecnica per raggiungere lo scopo, utilizzando ad esempio vetri antichi e gradazioni di colore per conferire armonia. Sottolineava anche la grande libertà lasciatagli dal direttore dei lavori e dall’architetto. Ingrand si impegnò anche nel rendere «l’espressività del disegno, indispensabile alla lettura dell’immagine». È tramite lo strumento della poesia che l’artista intendeva rendere le rappresentazioni delle litanie della Vergine. «Volevo che la luce, la luce che emana da Dio, fosse lì, presente, che si potesse percepire come un canto, con tutte le sue sfumature, i sussurri, il canto piano». Attraverso il disegno di colombe, vasi, fiori, palme, stelle o angeli alati, Max Ingrand ha cercato di esprimere lo slancio d’amore che il cristiano può provare davanti a questo splendido poema, proponendosi anzitutto di colpire il pellegrino o il visitatore di passaggio. «Saprò di aver raggiunto il mio scopo se, tra tutti coloro che visiteranno questa chiesa, ci sarà chi, ‘sentendo’ la presenza delle vetrate, avvertirà il desiderio di raccogliersi in una preghiera ancora più fervente».

(traduzione di Roberto Orlandi)

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