L'economia siriana è in profonda crisi e il presidente Assad ha l’assoluta necessità di tenere sotto controllo le risorse del Paese. Le speculazioni personali di qualche oligarca, prima tollerate come strumento di costruzione del consenso, ora non sono più (tutte) permesse
All’ombra della tregua imposta a Idlib dalle pressioni internazionali e dal coronavirus, a Damasco partono i primi regolamenti di conti tra il presidente Bashar al-Assad e gli oligarchi che, negli anni tremendi della guerra, hanno accresciuto le proprie fortune e, soprattutto, hanno preteso di proiettare qualche ombra sul vertice siriano. Le due cose vanno di pari passo. L’economia della Siria è a pezzi e il contesto esterno non fa che accrescere le già enormi difficoltà. Le sanzioni americane ed europee bloccano gran parte dei commerci e degli investimenti. E la profonda crisi finanziaria del Libano, con il blocco delle attività bancarie, fa il resto, visto che almeno un terzo della liquidità in dollari dei siriani giace in quei forzieri ora inservibili. La lira siriana sprofonda: 48 lire per un dollaro prima della guerra, 700 per quasi tutti gli anni del conflitto, 1.200 adesso.
Assad ha quindi l’assoluta necessità di tenere sotto controllo le risorse del Paese. Le speculazioni personali, prima tollerate come strumento di costruzione del consenso, ora non sono più (tutte) permesse. Soprattutto se chi ha ammassato miliardi speculando sulla benevolenza del regime e sull’economia di guerra aspira a un ruolo che non gli compete.
Il caso più clamoroso è quello di Rami Makhlouf, cugino di Assad e nipote di Anisa Makhlouf, moglie di Hafez al-Assad. Makhlouf è l’uomo più ricco della Siria, tanto che prima del conflitto gli si attribuiva, forse esagerando, il controllo più o meno diretto del 60 per cento delle attività economiche del Paese. È noto come proprietario di Syriatel, una delle due compagnie telefoniche nazionali, ma i suoi interessi spaziano dall’immobiliare al petrolio, dal commercio alla televisione, in pratica ovunque ci sia da guadagnare. In Siria ma anche nel vicino Libano, dove possiede alberghi di lusso e catene di ristoranti.
Makhlouf ha goduto per lungo tempo del favore di Assad, ovviamente. Ma negli ultimi tempi, come si usa dire, si è un pò allargato. Non si tratta delle spacconate da super-ricco cui era abituato un tempo (per esempio, le foto circondato dalle Ferrari del suo parco macchine) e a cui non sanno rinunciare i suoi figli Muhammad e Alì, che si sono vantati su Facebook di avere due milioni di dollari ciascuno nel conto corrente. Sbrodolate che, in una Siria quasi alla fame, con metà della popolazione ancora sfollata o rifugiata all’estero, sono di pessimo gusto e anche poco furbe. Gli errori “pesanti” di Makhlouf sono di altro genere.
Il cugino ricco di Assad, durante la guerra, ha creato una milizia che è arrivata a contare diverse migliaia di uomini. Una formazione armata che, pagata milioni di dollari dal governo siriano, avrebbe dovuto difendere una serie di campi petroliferi e impianti per la distribuzione del gas naturale come quello di Hayyan, che riforniva un terzo della Siria. Avrebbe, perché nella realtà è passata da un fallimento all’altro, il più clamoroso proprio ad Hayyan, dove l’impianto da 300 milioni di dollari fu fatto saltare in aria dai terroristi dell’Isis. Di quella milizia, però, Makhlouf ha provato a servirsi anche per costruirsi un’influenza presso la comunità alawita, alla quale si è proposto (tra l’altro, con donazioni in denaro e in generi di prima necessità) come protettore e come leader para-religioso, in nome di un maggiore avvicinamento alla comunità sciita. Operazione sul fronte interno del tutto speculare a quella condotta sul fronte esterno, in particolare in Libano, dove Makhlouf ha stretto i rapporti con Hezbollah, anche a suon di dollari. Altro passo falso, perché Assad, alawita e laico, tutto vuole tranne che nella sua comunità d’origine venga seminato il germe della divisione e dell’integralismo.
Così Assad ha cominciato a tirare le briglie. Syriatel è stata investita da una serie di ispezioni finanziarie che hanno rivelato un sistema per caricare i bilanci di spese fasulle e quindi ridurre l’imponibile per la tassazione. Il governo ha disdetto una serie di contratti che aveva con le aziende di Makhlouf. Le scuole private che l’oligarca possedeva a Damasco sono state nazionalizzate. La sua milizia sciolta. A buon intenditor…
Perché Babylon
Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.
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Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com