In questa fase storica l'antisemitismo è di nuovo alla ribalta delle cronache. Una raccolta di saggi, appena pubblicata in Italia, ne indaga le radici cristiane. Padre Etienne Vetö, direttore del Centro Cardinal Bea per gli Studi giudaici della Pontificia Università Gregoriana di Roma, ci introduce al volume e alla speciale relazione tra cristiani ed ebrei
La raccolta Gesù non fu ucciso dagli ebrei, nella sua versione originale in inglese, è una reazione e una risposta ai micidiali attacchi antisemiti alle sinagoghe di Pittsburg, in Pennsylvania (27 ottobre 2018) e di Poway, in California (27 aprile 2019). L’Italia del 2020 non conosce espressioni così violente di antisemitismo, ma numerosi atti di vandalismo antiebraico e di incitamento all’odio sui social network dimostrano che lo stesso pericoloso virus è presente e attivo.
Perché in questo contesto dovremmo porre la vecchia domanda su chi abbia ucciso Gesù? Perché, più specificamente, è importante precisare che «gli ebrei non hanno ucciso Gesù»? Da Jules Isaac abbiamo compreso la portata dell’impatto subdolo dell’insegnamento cristiano del disprezzo per gli ebrei, che si fonda proprio sull’accusa che furono gli ebrei a rifiutare e uccidere Gesù, e che loro sono riprovati e maledetti per questo. Questo insegnamento ha spesso alleggerito la coscienza dei cristiani dalla necessità di combattere la crescita della pianta velenosa dell’antisemitismo fascista e nazista e ha impedito loro di cercare modi per farlo. È purtroppo realistico considerare che l’insegnamento antiebraico ha persino fornito un terreno fertile a questa pianta per mettere radici e crescere. Pertanto, come ricordato da diversi contributi di questo libro, la Dichiarazione Nostra Aetate del concilio Vaticano II ha rappresentato una presa di posizione fondamentale da parte della Chiesa cattolica e una vera svolta: «E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo (Giovanni 19,6), tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti». (Nostra Aetate, 4)
Sulla scia del Concilio, i teologi ne precisano l’analisi. Ovviamente, gli ebrei hanno partecipato al processo che ha portato alla crocifissione di Gesù. Ma si tratta principalmente degli anziani e dei funzionari del Tempio, mentre le folle di ebrei ascoltano volentieri gli insegnamenti di Gesù e lo seguono. Inoltre, come dimostrano le figure di Nicodemo (cf. Giovanni 3,1s; 7,50; 19,39) o di Giuseppe d’Arimatea (cf. Matteo 27,57), le autorità stesse non sono unanimi nel loro rifiuto di Gesù. Gli storici ritengono che uno dei motivi per cui Matteo e Marco collocano di notte la riunione del Sinedrio che concorre alla condanna di Gesù è il fatto di non essere regolare e di riunire solo i suoi membri che si oppongono a Gesù. Inoltre, sono i romani che conducono il processo contro Gesù, lo condannano a morte e lo crocifiggono. È sorprendente che Ponzio Pilato sia una delle poche figure storiche nominate nel Credo, con Gesù stesso e la Vergine Maria, piuttosto che Giuda o Caifa – segno dell’importanza per la fede cristiana del ruolo di Pilato e dei romani nella Passione di Gesù. Infine, colui che consegna Gesù ai romani è Giuda, uno dei Dodici. Non è possibile designare Giuda come “cristiano” nel senso stretto del termine, poiché il termine non esiste ancora, ma è uno dei principali responsabili della giovane comunità di discepoli di Gesù. Il catechismo del concilio di Trento cercherà di soppesare la gravità della colpa dei cristiani, il cui peccato in un certo modo «crocifigge» nuovamente Cristo, e conclude: «Dobbiamo riconoscerlo, il nostro crimine in questo caso è maggiore di quello degli ebrei. Perché loro, secondo la testimonianza dell’Apostolo, “se avessero conosciuto il Re della gloria, non lo avrebbero mai crocifisso” (Prima lettera ai Corinzi 2,8). Al contrario, noi professiamo di conoscerlo». (…)
Questo è il motivo per cui il concilio Vaticano II aggiunge: «In realtà il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza». (Nostra Aetate, 4)
Gesù stesso si assume la responsabilità della sua morte, che è quindi parte del piano salvifico di Dio: «Do la mia vita per le pecore. […] Nessuno me la toglie: io la do da me stesso» (Vangelo di Giovanni 10,15b.18). Quindi, se tutti hanno una parte di responsabilità, se Cristo ha liberamente accettato di donare la sua vita per tutti, se questo fa parte del piano di Dio, come possiamo osare esprimere ancora una condanna? Prendiamo finalmente sul serio le ultime parole di Gesù, quelle con le quali invoca il perdono di Dio: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Vangelo di Luca 23,34). Queste parole sono rivolte allo stesso modo a quegli ebrei che hanno spinto per la sua morte, a quei pagani che lo hanno messo a morte e a quelli tra i suoi discepoli che lo hanno abbandonato e tradito.
Facciamo un ulteriore passo avanti nella comprensione del rapporto tra il popolo ebraico e Gesù e la Chiesa. Il titolo di questa raccolta è formulato negativamente: «Gli ebrei non hanno ucciso…». E passo dopo passo, affrontando la questione da diverse angolazioni, gli autori dimostrano questo punto con precisione e rigore. Ma ad ogni passo compiuto, viene anche rivelato il lato «positivo» della medaglia. Non solo gli ebrei sono scagionati – e in realtà non sono nemmeno più da scagionare – ma devono essere ringraziati e «bene-detti», nel senso stretto del termine: «dire bene di…».
In effetti, prima di porre la domanda su chi abbia rifiutato e ucciso Gesù, è necessario chiedersi chi lo abbia accolto. (…) Fondamentalmente, la domanda non è «Perché così tanti ebrei non hanno accolto Gesù?», ma piuttosto «Perché così tanti ebrei hanno accolto Gesù?»
Senza questa accoglienza di Gesù da parte di ebrei, da parte di molti ebrei, la Chiesa probabilmente non sarebbe mai nata. Questo è storicamente vero, ma ancor di più da un punto di vista teologico. Nel piano di Dio, secondo la teologia cristiana, la Chiesa non intende sostituire il popolo di Israele. È piuttosto il popolo escatologico nato dall’innesto dei gentili sul popolo eletto, del ramo dell’ulivo selvatico sulla radice santa – per riprendere l’immagine di Paolo nell’epistola ai Romani (cfr Lettera ai Romani 11,16 ss). Senza la radice e l’olivo domestico non è possibile alcun innesto. Senza il popolo ebraico, dal quale la Chiesa riceve ancora (e deve ricevere) la linfa, questa non potrebbe né essere, né essere sé stessa. Nostra Aetate dichiara al presente che «[la Chiesa] si nutre dalla radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i Gentili». Questo presente implica una relazione vivente con il popolo ebraico oggi, perché le radici di un albero non sono il suo passato ma il suo presente.
In questo senso, si tratta di riconoscere l’immenso debito della Chiesa e del cristianesimo nei confronti del popolo ebraico e della sua fede. Non è sufficiente combattere l’antisemitismo combattendo le menzogne di cui si nutre, ma proponendo la verità, il bene e il bello, da cui può dispiegarsi un altro discorso, un discorso di benedizione.
Abbonati anche tu alla rivista Terrasanta
il bimestrale fondato dalla Custodia di Terra Santa, a Gerusalemme, nel 1921
68 pagine a colori dense di servizi e approfondimenti su culture, religioni, attualità, archeologia del Medio Oriente e delle terre bibliche.
Da più di 100 anni un punto di riferimento. Ogni due mesi nelle case dei lettori.
Le modalità di abbonamento