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È Qatif la zona rossa dell’Arabia Saudita

Laura Silvia Battaglia
10 marzo 2020
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Il coronavirus va diffondendosi anche in Medio Oriente e i governi corrono ai ripari via via che aumentano i casi di Covid-19. Il governo dell'Arabia Saudita ha isolato la provincia di Qatif, cuore dell'industria petrolifera, ma anche della minoranza sciita nel Paese.


Secondo i dati ufficiali forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità il 9 marzo i casi di Covid-19 nella regione mediorientale sono ancora relativamente pochi (79 in Bahrein, 64 in Kuwait, 60 in Iraq, 55 in Egitto, 45 in UAE, 39 in Israele, 32 in Libano, 16 in Oman, 15 in Qatar e 15 in Arabia Saudita, 2 in Tunisia e Marocco, 1 in Giordania, 19 nei Territori palestinesi). Valoro di molto inferiori a quelli registrati in Iran, che alla stessa data ne conta 6.566. Ciò non toglie che da un paio di settimane anche da queste parti si sia alzata l’asticella dell’allarme e le misure di contenimento da contagio si siano fatte più rigide.

Anche l’Arabia Saudita ha la sua zona rossa allargata. Si tratta della provincia orientale di Qatif, dove si concentra gran parte della produzione di petrolio, e dove sono state sospese tutte le attività lavorative, scolastiche, commerciali, eccetto quelle essenziali, come il carico-scarico merci. Non si potrà entrare o uscire da Qatif, già isolata con posti di blocco. In via prudenziale, la chiusura di scuole e università pubbliche e private in Arabia Saudita è stata stabilita comunque a livello nazionale.

Ad oggi, i casi positivi a Covid-19 nel Regno, come dicevamo, sono 15 e il primo paziente infetto, secondo le autorità locali, era un cittadino saudita di ritorno dall’Iran. Il ministero dell’Interno ha dichiarato che la decisione di sospendere temporaneamente l’ingresso e l’uscita da Qatif è determinata dal fatto che tutti gli ultimi 11 casi positivi a Covid-19 registrati (su 15 totali) provengono da questa provincia. Gli esperti sostengono che non si prevede alcun impatto sulla produzione di petrolio saudita, ma le preoccupazioni, stavolta, sono di ordine pubblico.

Qatif ha una grande maggioranza di popolazione sciita, che da tempo accusa il regno dei Saud di applicare forme di discriminazione ed emarginazione. Durante le primavere arabe del 2011, è l’unica che ha dato seri grattacapi al re Salman. Inoltre, la decisione di isolare Qatif arriva dopo una settimana di purghe familiari, eseguite dal principe ereditario Mohammad bin Salman, su rami della famiglia reale accusati di alto tradimento, in un momento in cui si vocifera che il principe diventerà re molto presto.

L’isolamento di Qatif si colloca inoltre in un quadro abbastanza fosco delle relazioni tra il Regno e l’Iran. L’Iran ospita santuari e siti di pellegrinaggio fondamentali per gli sciiti, che rappresentano tra il 10 e il 15 per cento della popolazione dell’Arabia Saudita, su un totale di 32 milioni di persone. Il governo di Riyadh ha vietato i viaggi in Iran, e ha dichiarato che saranno intraprese azioni legali nei confronti di qualsiasi cittadino saudita vi si rechi.

La decisione arriva dopo il decreto regio di due settimane fa che aveva già temporaneamente vietato i pellegrinaggi di Umrah (pellegrinaggio “minore”, non obbligatorio, che si può effettuare in qualsiasi momento dell’anno) nelle città sante di Mecca e Medina per i cittadini sauditi e per gli abitanti del Regno. Ha inoltre vietato visite di lavoro e di turismo da Paesi in cui si è diffuso il nuovo coronavirus, come l’Italia.

Ma le preoccupazioni riguardano soprattutto il mese di Hajj, dopo Ramadan, in cui la media dei pellegrini musulmani che affluiscono da tutto il mondo è pari a sette milioni di persone. Al momento, prima di visitare l’Arabia Saudita, i pellegrini devono fornire certificati di vaccinazione nelle loro domande di visto ma, in mancanza di un vaccino per Covid-19, la previsione potrebbe essere l’annullamento di tutti i movimenti di massa, interni ed esterni.

Quel che è certo è che il Regno si prepara già diligentemente al peggiore scenario. Un portavoce del ministero della Salute ha riferito che il Paese sta allestendo 25 ospedali per gestire i casi di coronavirus di probabile, futura espansione.


 

Perché Diwan

La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.

Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.

Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen).

Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24, Tv2000), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu).

Ha girato, autoprodotto e venduto vari video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).

 

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